 Le sofferenze di nostro Signore furono tanto grandi perché era in  sofferenza anche la sua anima. Ce lo dimostra il fatto che la sua anima  cominciò a soffrire prima ancora che incominciasse la passione corporea,  come vediamo nell’agonia dell’orto. La prima angoscia che si impossessò  del suo corpo, non proveniva dall’esterno, non dalla flagellazione, non  dalle spine, non dai chiodi, ma dalla sua anima. La sua anima era in  tale stato di angoscia che egli la paragonò alla morte: «La mia anima è  triste sino alla morte» (Mt 26,38). L’angoscia era tale che, per così  dire, schiantava tutto il suo corpo. Era una trafittura che gli toccava  il cuore; come nel diluvio i flutti della grande piena si ruppero, le  cataratte del cielo si apersero. Il sangue, sgorgando dal suo cuore  torturato, si aprì una strada da tutte le parti, formò mille nuovi  canali, invase tutte le aperture dei pori, e alla fine si posò sulla sua  pelle in spesse gocciole, le quali cadevano pesantemente a terra.
Le sofferenze di nostro Signore furono tanto grandi perché era in  sofferenza anche la sua anima. Ce lo dimostra il fatto che la sua anima  cominciò a soffrire prima ancora che incominciasse la passione corporea,  come vediamo nell’agonia dell’orto. La prima angoscia che si impossessò  del suo corpo, non proveniva dall’esterno, non dalla flagellazione, non  dalle spine, non dai chiodi, ma dalla sua anima. La sua anima era in  tale stato di angoscia che egli la paragonò alla morte: «La mia anima è  triste sino alla morte» (Mt 26,38). L’angoscia era tale che, per così  dire, schiantava tutto il suo corpo. Era una trafittura che gli toccava  il cuore; come nel diluvio i flutti della grande piena si ruppero, le  cataratte del cielo si apersero. Il sangue, sgorgando dal suo cuore  torturato, si aprì una strada da tutte le parti, formò mille nuovi  canali, invase tutte le aperture dei pori, e alla fine si posò sulla sua  pelle in spesse gocciole, le quali cadevano pesantemente a terra.
Egli restò in questa viva morte dal giorno della sua agonia nell’orto; e come la sua prima agonia gli venne dall’anima, così l’ultima. Come la flagellazione e la croce non furono l’inizio delle sue sofferenze, così non ne furono la fine. L’agonia della sua anima, non quella del suo corpo, gli procurò la morte. I suoi persecutori restarono sorpresi a sentire della sua morte. Come era morto? Quel cuore, affranto dall’agonia, tormentato, il quale all’inizio si era levato in modo tremendo nel rifluire violento del sangue che scoppiava da tutti i suoi pori, alla fine si spezzò. Si spezzò ed egli morì. Si sarebbe spezzato subito se egli non lo avesse impedito. Alla fine venne il momento. Egli spirò e il suo cuore si spezzò.
O cuore tormentato, ti spezzò l’amore, il dolore e il timore. La vista del peccato umano, la percezione del peccato umano, il sentirlo su di te; lo zelo per la gloria di Dio, l’orrore nel vedere il peccato tanto vicino a te, l’impressione di schifo e di offesa della sua impurità, la profonda vergogna, il disgusto, l’aborrimento e il senso di rivolta che il peccato ispira, la profonda pietà per le anime che il peccato trascina a precipizio nell’Inferno, tutte queste sensazioni insieme, tu permettesti che ti assalissero. Ti desti in loro potere, e furono la tua morte. Quel cuore forte, nobile in tutto, generoso al massimo, tenero all’estremo, unicamente puro, fu ucciso dal peccato.
O tenerissimo e dolcissimo Signore Gesù, quando il mio cuore avrà una parte delle tue perfezioni? Quando il mio cuore duro e insensibile, il mio cuore orgoglioso, il mio cuore incredulo, il mio cuore impuro, il mio cuore egoista e meschino, si fonderà e si conformerà al tuo? Insegnami a contemplarti così da divenire come te e da amarti con la sincerità e con la semplicità con cui tu hai amato me.
Tutto è compiuto
Sono finite, Signore, le tue sofferenze e le nostre umiliazioni. Ti abbiamo seguito durante il tuo digiuno nel deserto fino alla tua morte sulla croce. Per quaranta giorni abbiamo dichiarato di far penitenza. Il tempo è stato lungo ed è stato breve; ma lungo o breve che fosse, ora è passato. È finito, e noi abbiamo piacere che sia finito; è un sollievo, è una liberazione. Ti ringraziamo che sia finito. Ti ringraziamo per il periodo di dolore, ma ti ringraziamo ancora di più nel pregustare il tempo della festa. Perdona le nostre deficienze, e ricompensaci nella Pasqua. In verità abbiamo fatto ben poco per te, o Signore.
Ben ricordiamo la nostra trascuratezza e la nostra insofferenza; la nostra avversione a mortificarci, quando non avevamo nessuna scusa di salute ad impedircelo; la nostra avversione alla preghiera e alla meditazione, il nostro disordine mentale, il nostro scontento, la nostra irritabilità. Tuttavia alcuni di noi, forse, hanno fatto qualcosa per te. Guarda a noi come a un tutto, o Signore, guarda su di noi come su di una comunità, e fa’ che quello che hanno fatto bene alcuni valga per tutti.
O Signore, la fine è giunta e siamo consapevoli della nostra  apatia e della nostra indifferenza; noi non meritiamo di godere la  Pasqua, e tuttavia non possiamo fare a meno di goderne. Noi sentiamo di  più la gioia, godiamo con te più di quanto non ci autorizzerebbe la  nostra passata umiliazione; tuttavia possa proprio questa gioia essere  la nostra giustificazione. Sii indulgente con noi, per i meriti della  tua potente passione e per i meriti dei tuoi santi. Accettaci come il  tuo piccolo gregge, nel giorno delle piccole cose, in una regione  decaduta, in una età in cui la fede e l’amore sono rari. Abbi pietà di  noi e risparmiaci e dacci pace.
O mio solo Salvatore, ora nella tomba, ma lì lì per risorgere, hai  pagato il prezzo; è fatto, consummatum est, è ottenuto. Compi la tua  risurrezione in noi, e come tu ci hai ricomprati, reclamaci, prendi  possesso di noi, rendici tuoi.
Testo:
John Henry Newman, Meditazioni e Preghiere, a cura di VELOCCI G. Jaca Book Milano 2002, 56-57.




