Riflessioni sulla Divina Provvidenza

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Il 21 febbraio 1801 John Henry Newman nacque a Londra, figlio di un banchiere e primo di sei rampolli. Solo la Divina Provvidenza poteva allora sapere che tale giorno fosse ricordato perfino duecento anni più tardi. Da giovane Newman, specialmente nell’anniversario della sua nascita, aveva l’abitudine di guardare al passato, ma non solo con una visione puramente umana che ricordasse solo dolori e gioie, ma nella luce della Divina Provvidenza, e scriveva ciò che egli chiamava il “resoconto del compleanno.” In tal senso leggiamo, per esempio nel suo diario del 21 febbraio 1822: “Mio compleanno. Oggi sono più vecchio…Sono cresciuto nella grazia in quest’anno?…Sto per entrare in un nuovo periodo della vita. Signore, cammina con me: fammi Tuo vero soldato” (AW[1] 183). E il 21 febbraio 1828: ” O Signore, che anno (1827) è stato questo!…Sono nelle Tue mani, O mio Dio…”, e quando scrive della morte della sorella Mary, “Sento dall’intimo del cuore che è giusto – vedo, riconosco che è, nella saggia Provvidenza di Dio, la cosa migliore per noi tutti” (AW, 210-211).

Preparandoci a celebrare il bicentenario della nascita di Newman, è opportuno dare uno sguardo alla realtà teologica che permea i suoi scritti e che fu il fondamento della sua vita spirituale: la dottrina della Divina Provvidenza. È questa anche una buona conclusione della celebrazione dell’Anno Santo durante il quale commemoriamo l’Incarnazione del Figlio di Dio, il Verbo fatto carne (cf. Gv 1,14), “in cui si concentrano tutti gli atti della Provvidenza di Dio”[2].

L’Incarnazione: rivelazione della Provvidenza Individuale di Dio

La dottrina dell’Incarnazione e quella della Divina Provvidenza sono inscindibilmente legate nel pensiero di Newman, come appare nel suo Sermone, La Provvidenza Individuale come ci è rivelata nel Vangelo, dove sostiene che prima dell’Incarnazione l’umanità poteva conoscere la Provvidenza generale di Dio, ma solo dopo l’Incarnazione è stata rivelata la sua particolare Provvidenza per ogni persona.

“Tale era la condizione dell’uomo prima della venuta di Cristo, privilegiato con qualche preannuncio occasionale che rivelava la sollecitudine di Dio per i singoli individui, ma nella maggior parte dei casi, istruito solamente nel disegno della Sua Provvidenza generale, come si vede nel corso delle vicende umane. … Ma, nel Nuovo Patto, questo distinto riguardo, accordato da Dio Onnipossente ad ognuno di noi, è rivelato chiaramente” (PS[3] III, 114-115).

Dio ha rivelato se stesso “non più attraverso le mere potenze della natura, o l’intrigo delle faccende umane, ma in un forma sensibile, come essere individuale, realmente esistente. E, nel medesimo tempo, Egli immantinente cominciò a parlare con noi come esseri individuali” (PS III, 115). Eppure, sappiamo come è difficile convincere noi stessi che Dio guarda ognuno di noi nei nostri andirivieni, nel profondo crogiuolo dei cuori, e che ha cura di noi.

“Se ci lasciamo trascinare dall’onda che scorre nella corrente del mondo, vivendo alla maniera degli altri uomini e cioè, raccogliendo le nostre nozioni di religione di qua e di là, cosa che può darsi, non possiamo avere che poca o nessuna comprensione vera di una Provvidenza individuale. Noi concepiamo che il Dio Onnipossente operi solo su un vasto piano, ma non possiamo renderci conto della meravigliosa verità che Egli vede e pensa anche agli individui singoli. Non riusciamo a credere che Egli è in ogni luogo, realmente presente, che Egli è in ogni luogo dove siamo no, sebbene sia invisibile” (PS III, 116).

“Come può”, domanda Newman, “Colui che è l’Altissimo, dirigere il suo amore verso questo e quell’uomo per amore del singolo, se ci contempla uno per uno, senza commettere una specie di trasgressione alle Sue proprie perfezioni? Oppure, anche se l’Essere Supremo fosse un Dio di benevolenza totale, pura, anche in questo caso, come potrà il pensiero di Lui accasarsi nella nostra mente con quella forza costringente che esercita su di noi la dolcezza di un amico terreno”? (PS III, 119). Queste domande, insiste Newman, hanno avuto risposta non con parole e argomenti, ma con quell’evento che la Chiesa intera sta celebrando in una maniera particolarmente solenne in quest’Anno Giubilare. “Al fine che noi possiamo capire che, nonostante le Sue misteriose perfezioni, Egli ha conoscenza separata dal riguardo che può avere per ciascun individuo, ha preso su di Sé i pensieri ed i sentimenti della nostra stessa natura che, come noi tutti comprendiamo, è capace di simili attaccamenti personali” (PS III, 120).

La Segretezza della Divina Provvidenza

Newman parla spesso della segretezza e del silenzio della Divina Provvidenza e, di conseguenza, della necessità per la fede di vederla. “Questa è la legge della provvidenza quaggiù, scrive, agisce sotto un velo, e ciò che è visibile nel suo corso, non fa altro che adombrare al più, e talvolta oscura e maschera ciò che è invisibile”[4].

Egli osserva che nella Scrittura le benedizioni di Dio vengono date “nel silenzio e nel segreto, cosicché non le comprendiamo sul momento, ma soltanto per mezzo della fede” (PS IV, 257). Ciò è anche vero “con l’azione della provvidenza nella nostra vita quotidiana. Ci accadono fatti piacevoli e dolorosi; al momento non conosciamo il loro significato e non vediamo in loro la mano di Dio. Se invece abbiamo fede, confessiamo quello che non vediamo e accogliamo quanto avviene riferendolo a Lui” (PS IV, 258).

Newman osserva che è un principio generale della Divina Provvidenza, secondo il quale “avvertiamo la presenza di Dio non mentre è con noi, bensì successivamente, quando riflettiamo su quanto è avvenuto” (PS IV, 256). Questo è il motivo per cui Newman prese come abitudine di guardare indietro nella sua vita e riflettere sulle azioni e le maniere della Divina Provvidenza. Lo raccomanda a tutti i credenti: “Se una persona, consapevole di servire Dio in modo accettabile, guarda alla sua vita passata, si accorgerà come siano stati decisivi alcuni momenti e fatti che all’epoca gli parevano i più indifferenti del mondo” (PS IV, 261).

Così Newman vede i benefici spirituali nel mantenere una “accurata memoria di tutto ciò che Egli ha fatto per noi” (PS V, 82). Il 22 gennaio 1822 nota nel suo diario che ebbe in mente di fissare certi giorni o occasioni come “giorni o periodi di misericordia, e commemorarli negli anni successivi” (AW, 179). Tra quei giorni vi erano non solo occasioni di gioia, ma anche di difficoltà, di delusioni e di prove. Egli conobbe e visse la visione di fede che la Divina Provvidenza opera in e attraverso tutte le circostanze della vita.

L’obbedienza alle Divine Chiamate

La comprensione di Newman della Divina Provvidenza non è mai passiva o teorica. La provvidenza di Dio non è qualcosa che possiamo discernere solo guardando indietro al passato, ma è qualcosa a cui dobbiamo rispondere nel presente. Per Newman la risposta immediata alla Divina Provvidenza è l’obbedienza. A prima vista sembra che sia un modo strano di parlare. Siamo abituati a parlare dell’obbedienza alla Volontà di Dio, ma non alla sua Provvidenza. Ciò che Newman dice, usando il termine di provvidenza in questo senso, è allo stesso tempo teologicamente profondo e spiritualmente esigente.

Nel Sermone, Divine Chiamate, Newman sviluppa questo concetto: “Se sapessimo comprenderla, mentre, invece, purtroppo, è proprio questa che non si vuol capire. Ce ne vuole prima di afferrare la grande e sublime verità; cioè che Cristo, in un certo senso, sta ancora camminando tra noi e colla mano, collo sguardo e con la voce, ci anima a seguirlo. Non riusciamo a persuaderci che questa chiamata di Cristo si realizza ogni giorno, oggi come nel passato. Pensiamo che questo accadesse solo al tempo degli Apostoli, per cui ora non crediamo più a questo fenomeno divino, non badiamo se per caso si verifica anche per noi” (PS VIII, 24).

Dio ci chiama. “Obbediamo o no alla sua voce, egli senza stancarsi e sempre con amore, continua a chiamarci” (PS VIII, 23). Newman parla di quelle chiamate che noi “sentiamo” attraverso gli eventi giornalieri e ordinari della vita. “Nulla vi è di miracoloso o di straordinario nei metodi che adotta nei nostri riguardi. Egli agisce per mezzo delle nostra facoltà naturali o delle circostanze stesse della vita”. Tali chiamate “implicano doveri, che assumono valori di precetti da seguire”. Sono date per portarci a uno stato più elevato di santità e di conoscenza. “Quanto accade a noi oggi sotto forma di azione provvidenziale, è in fondo, esattamente ciò che era la voce stessa di Cristo per coloro che la udivano quando egli era su questa terra” (PS VIII, 24). Come Egli chiamò Simone e Andrea, come chiamò Giacomo e Giovanni, così Egli ci chiama ora. Sintonizziamoci con la sua voce, “cerchiamo di sentire il timore di non incontrare il Salvatore, mentre Simeone e Anna lo trovano…cerchiamo di portare questo pensiero nella nostra condotta quotidiana” (PS II, 115).

Newman sa molto bene che “solo la fede può obbedire” alle divine chiamate (PS VIII, 22). Questa obbedienza nella fede è l’obbedienza di seguirlo dove noi non sappiamo. Infatti, Dio ci chiama, certamente, e la fede ci dà i mezzi per ascoltare e rispondere alle sue chiamate, ma non ci è dato di vederne tutto il contesto, le conseguenze, le gioie, i dolori, le difficoltà, le consolazioni che provengono dal seguire la sua chiamata. Newman scrive: “La mano di Dio è sempre su coloro che sono suoi, e li guida per vie sconosciute. Tutto quello che essi possono fare è credere e, credendo, agire d’intesa con Dio verso di esso” (PS IV, 261).

Nondimeno, Newman insiste che l’obbedienza alla Provvidenza deve essere immediata, “Il tempo non si ferma per nessuno; avanza e passa. L’appello è stato lanciato; bastò una parola. La parola è detta: se non si accetta è subito troppo tardi. L’ora è trascorsa; se non afferriamo l’istante, questo è perduto” (PS VIII, 21). E questa obbedienza deve assumere la forma dell’azione. Non è semplicemente un assenso interiore, ma la realizzazione di questo assenso interiore nella nostra vita di ogni giorno. Non è la stessa cosa per ogni persona, perché ognuno è chiamato individualmente da Dio.

Ognuno ha il proprio sentiero da calcare. Newman è ancora abbastanza severo nel chiarire questo punto: “Nessuno, badate bene, è autorizzato a prendere a modello l’ideale di santità altrui perché sarebbe di livello inferiore. Gli altri non ci riguardano. Se Dio ci chiama a rinunce più eroiche e ci chiede il sacrificio delle nostre speranze e dei nostri timori, è un vantaggio spirituale di più, è il segno del suo amore più tenero e non abbiamo che da rallegrarci” (PS VIII, 31).

Se non rispondiamo alla Divina Provvidenza, se non obbediamo alle Sue chiamate, “indietreggiamo dal loro cammino verso il cielo.” Perché è “verso quell’una e sola Verità” a cui Egli “ci guida”, ma non senza la nostra cooperazione (PS VIII, 27). “Guardiamoci bene dal ricevere invano la grazia divina e dall’indietreggiare di fronte all’invito rivoltoci. Abbiamo cura di evitare e di scacciare la tentazione… Possa Iddio farci entrare a poco a poco in una regione più alta della verità religiosa e introdurci così in un mondo superiore. Ma non dimentichiamo che, a nostra volta, dobbiamo lavorare ed associarci a Lui. Mettiamoci, quindi, all’opera con Lui” (PS VIII, 30). E Newman ci domanda: “Cosa significa essere applauditi, ammirati, corteggiati a paragone del vero scopo della vita che assorbe tutto il resto, cioè non mostrarsi disobbedienti a una visione del cielo?” (PS. VIII, 32).

Tali, allora sono le caratteristiche delle Divine Chiamate della Provvidenza nella nostra vita. Esse “esigono obbedienza immediata”, poi “ci chiamano a qualcosa che noi non conosciamo. Siamo chiamati senza sapere a che cosa. È una chiamata piena di oscurità che non si rivolge né ai sensi, né alla ragione: solo la fede può obbedirle” (PS VIII, 22).

L’abbandono filiale alla Divina Provvidenza

Newman prosegue la sua riflessione: “Bisogna trarre profitto per l’avvenire dall’aver fede in quello che non possiamo vedere. Il mondo sembra proseguire per il suo corso ordinario. Non vi è nulla di celestiale nelle usanze della società, nelle notizie del giorno; nulla di celestiale nel volto della massa, o dei grandi, o dei ricchi, o degli uomini d’affare; nulla di celestiale nelle parole degli oratori, nelle azioni dei potenti, nei consigli dei saggi, nelle decisioni dei superbi, nel fasto dei ricchi. E tuttavia lo Spirito di Dio è presente; la presenza del Figlio eterno, molto più gloriosa, più potente di quando egli era visibilmente in terra, è con noi. Conserviamo sempre nel cuore questa verità: quanto più la mano di Dio è segreta, tanto più è potente; quanto più è silenziosa, tanto più è terribile” (PS IV, 265).

Secondo l’impressione dell’uomo limitato e peccatore, Dio “sembra operare per tappe, mezzi e scopi, con passi, vittorie duramente conquistate, e sconfitte riparate, e sacrifici avventurosi” (PS II, 84). Ciò che noi vediamo è come il rovescio di un tessuto. Vediamo molti fili colorati, inizi e termini, pezzettini di un costrutto, ma non un disegno comprensibile. Tuttavia, come per il tessitore, Dio conosce il disegno e la sua bellezza e lo vede per intero. Tutto concorda per formare un disegno infinitamente bello e perfetto della Provvidenza di Dio, perché “Dio è uno, una la sua volontà, uno il suo scopo, una sola la sua opera…tutto ciò che è e fa è assolutamente perfetto e completo, indipendente dal tempo e dallo spazio, sovrano sulla creazione, sia inanimata che vivente” (PS II, 84).

Nelle sue Meditazioni e Devozioni, Newman rende testimonianza delle opere della Provvidenza di Dio nella sua vita: “O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefizi, diffusi sopra di un essere che ne è indegno. Non ho bisogno della fede per credere alla Tua Provvidenza verso di me, giacché ne ho fato lunga esperienza. Tu mi hai condotto d’anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto. O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandona mai! Io posso riposarmi in Te con sicurezza”[5].

Concludiamo le nostre riflessioni con un passo dalla ben nota meditazione di Newman sulla Provvidenza di Dio per ognuno di noi: “Dio ti osserva individualmente, chiunque tu sia. Egli ‘ti chiama con il tuo nome’. Egli ti vede, ti comprende, così come Lui ti ha creato. Egli sa quello che c’è dentro i te, tutti i tuoi sentimenti e pensieri, quelli che ti sono propri, le tue inclinazioni e le cose che ti piacciono, la tua forza e la tua debolezza. Egli ti osserva nei giorni della tua gioia come pure nel giorno del dolore. Egli ti è vicino nelle tue speranze come nelle tue tentazioni. Egli mette il Suo interesse in tutte le tue preoccupazioni, in tutte le tue tristi o liete ricordanze. Egli nota il tuo stesso volto, sia quando sorride sia quando è in lacrime. Tu non puoi sfuggire al dolore più di quanto Egli si dolga del tuo doverlo sopportare, e se è Lui che te lo manda, è come se fossi tu a volerlo volontariamente su te stesso, se sei saggio, nell’attesa di un bene assai più grande dopo. Tu sei scelto per essere Suo” (PS III, 124-125).


[1] John Henry Newman, Autobiographical Writings (= AW) ed. by Henry Tristam, Sheed and Ward, London 1956.

[2] John Henry Newman, And Essay in Aid of a Grammar of Assent, Christian Classics, Westminster MD 1973, p. 57.

[3] John Henry Newman, Parochial and Plain Sermons (= PS I – VIII), Christian Classics, Westminder MD 1966-1968.

[4] John Henry Newman, Essays Critical and Historical, vol. II, Longmans, Green and Co., London 1888, p. 190.

[5] John Henry Newman, Meditations and Devotions, Christian Classics, Westminster MD 1975, p. 421.