Le sofferenze mentali di Gesù

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Ecce Homo
O mio Dio, come posso guardarti in faccia se penso alla mia in­gratitudine.

1. Dopo che tutti i suoi discorsi furono finiti (Mt 26,1) e portati a conclusione, egli disse: il Figlio dell’uomo sarà condannato alla crocifissione. Come un’armata che si mette in asset­to di guerra, come i marinai che prima di un’azione ripuliscono il ponte, come gli uomini che in punto di morte fanno testamento e poi si volgono a Dio, così Nostro Signore, nonostante non potesse mai cessare di dire parole buone, riassunse e completò il suo inse­gnamento; poi ebbe inizio la sua passione. Allora con il proprio atto tolse la proibizione che teneva Satana lontano da lui e aprì la porta alle agitazioni del suo cuore umano, simile al soldato, il quale, do­vendo morire, lascia cadere egli stesso il proprio fazzoletto. Subito Satana arrivò e si impadronì della sua breve ora.

2. Una malvagia disposizione al mormorioe alla critica si sparge tra i discepoli. Una sola ne era la sorgente, però sembra che si sia propagata. Il pensiero della morte gli era presente e pensava ad essa e alla sua sepoltura. Venne una donna e cosparse di olio la sacra te­sta. Il gesto diffuse un dolce senso di calma sulla sua anima pura; era un tacito segno di simpatia, e tutta la casa ne era ripiena. Ma fu bruscamente interrotto dalla dura voce del traditore che ora, per la prima volta, dava espressione alla sua segreta insensibilità e mali­gnità. Ut quid perduto haec? «A che scopo tutto questo sciupio?» (Mt 26,8). L’ingiusto dispensiere con la sua malvagia economia cer­cava di supplire al propri privati ladrocini rifiutando onore al suo Maestro. Ecco come nel mezzo della dolce e serena armonia di que­sta festa in Betania, si verificò un urto e una discordia: tutto è sba­gliato; amaro scontento e sfiducia si cominciano a spargere, perché il diavolo è in giro.

3. Giuda, una volta mostratosi quello che era, non perse tempo a portare a compimento il suo tradimento. Andò dai gran sacerdoti e contrattò con loro per consegnare il suo Signore ad un certo prezzo. Nostro Signore vide tutto quello che avveniva in lui; vide Satana bussare al suo cuore ed esservi ammesso come un ospite onorato, amato e intimo. Lo vide andare dai sacerdoti e ne ascoltò la conver­sazione che ebbe luogo tra loro. Egli l’aveva visto, con la sua pre­veggenza, durante tutto il tempo che Giuda gli era stato vicino, an­che quando lo scelse. Quello che noi prevediamo che forse avverrà, ci colpisce ancora più profondamente e in maniera molto diversa quando in realtà esso avviene. Nostro Signore l’aveva sentita da tempo e aveva permesso di sentire la crudeltà dell’ingratitudine di cui egli ora era il giocattolo e la vittima. Aveva trattato Giuda come uno dei suoi amici più intimi. Aveva mostrato i segni della più stret­ta intimità; aveva fatto di lui l’amministratore suo e dei suoi seguaci. Gli aveva dato il potere di operare miracoli. L’aveva ammesso alla conoscenza dei misteri del regno dei cieli. L’aveva andato fuori a predicare e ne aveva fatto uno dei suoi rappresentanti speciali, in modo che il Maestro potesse essere giudicato in base alla condotta del suo servo. Un pagano, quando fu colpito da un amico, disse: Et tu Brute! Che desolazione questa ingratitudine! Dio che viene con­traccambiato ogni giorno con l’ingratitudine, non poteva, data la sua natura, sentirla; prese un cuore umano per poterla sentire nella sua pienezza. Ed ora, Dio mio, benché in Paradiso, non senti tu la mia ingratitudine verso di Te?

4. Vedo una figura d’uomo, ma non posso dire se giovane o vecchio. Può avere cinquanta come trent’anni. A volte ha un’apparenza, a volte un’altra; vi è qualcosa d’inesprimibile nel suo viso, qualcosa che io non so spiegarmi. Forse, siccome egli porta tutti i pesi, così porta anche quello della vecchiaia. E così: il suo viso è al tempo stesso molto venerabile e molto infantile, calmo, dolce, modesto, raggiante di santità e di amabile gentilezza. Gli occhi mi fissano con fermezza e commuovono il mio cuore. L’alito è fragran­te e mi trasporta fuori di me. Guarderò sempre quel viso e mai smetterò.

5. All’improvviso vedo qualcuno avvicinarsi a lui, alzare la mano e colpire con impeto quel viso celestiale. È una mano pesante, la mano di un uomo rozzo, e forse ricoperta di ferro. Non poteva esse­re tanto fulmineo da cogliere di sorpresa colui che conosce tutte le cose passate e future; egli non mostra segno alcuno di risentimento, resta calmo e serio come prima; ma l’espressione della sua faccia è cambiata; viene fuori un gran marchio e in breve tempo quella fac­cia benigna mi viene nascosta dall’effetto di questa indegnità, come se vi fosse calata sopra una nuvola.

6. Una mano si era alzata contro la faccia del Cristo. Di chi era questa mano? La mia coscienza mi dice: «Tu sei quell’uomo». Vo­glio sperare che ora non sia così nei miei riguardi. Ma, anima mia, contempla questo tremendo fatto. Immagina Cristo dinanzi a te, e immagina te stesso alzare la mano e colpirlo! Tu dirai: «È impossibi­le: non potrei farlo». Sì, tu l’hai fatto. Quando tu peccasti ostinata­mente, allora tu l’hai fatto. Ora egli è fuori di ogni pena: però tu l’hai colpito e se fosse stato al tempo della sua umanità, egli ne avrebbe sentito dolore. Vai indietro con la memoria e rammenta il tempo, il giorno, l’ora in cui, con premeditato peccato mortale, o con la derisione per le cose sacre, o con la profanazione, o con l’o­scuro odio per questo tuo fratello, o con atti di impurità, o con il ri­fiuto deliberato della voce di Dio, o con qualche altro diabolico mo­do a te noto, tu hai colpito l’Unico tutto santo.

O ingiuriato Signore, che cosa posso dire? Sono molto colpevole nel tuoi riguardi, o Fratello mio; e sprofonderò nella disperazio­ne più nera se tu non mi rialzi. Non posso guardarti; mi allontano da te; mi copro il viso con le mani; mi prostro a terra. Satana mi abbatterà se tu non avrai pietà di me. È terribile volgersi a te; ma volgiti tu a me, e così io sarò cambiato. È un Purgatorio sopportare la tua vista, la vista di me stesso: io malvagio, tu santo; ma fa’ che ancora una volta io guardi te che ho tanto incomprensibilmente ol­traggiato, poiché il tuo viso è la mia sola vita, e la mia sola speranza e salvezza sta nel guardare a te che io ho trafitto. In tal modo mi metto dinanzi a te; guardo nuovamente a te; sopporto la sofferenza per purificarmi.

O mio Dio, come posso guardarti in faccia se penso alla mia in­gratitudine, tanto profondamente radicata in me, tanto abituale, tanto irremovibile – o piuttosto tanto e così terribilmente in aumen­to! Tu mi colmi giorno per giorno dei tuoi favori e mi nutrì di te stesso, come facesti con Giuda; però io non soltanto non ne traggo profitto, ma neppure do segni di accorgermene sul momento. Si­gnore, per quanto tempo? quando sarò liberato da questa prigionia reale, fatale? Colui che fece di Giuda la propria preda, ha preso pie­de in me nella mia vecchia età, e non riesco a liberarmi. Un giorno dietro l’altro è sempre lo stesso. Quando vorrai tu farmi una grazia ancora più grande di quelle che mi hai fatto, la grazia di trarre pro­fitto dalle grazie che elargisci? Quando mi darai la tua grazia effica­ce, la sola capace di dare vita e vigore a questa mia anima sterile, miserabile, morente? Mio Dio, non so in che modo posso io farti soffrire nella tua glorificata condizione; ma so che ogni nuovo pec­cato, ogni nuova ingratitudine che ora commetto, fanno parte dei colpi e delle sferzate che caddero una volta su te nella tua passione. Fa’ che io abbia la più piccola parte possibile in queste tue passate sofferenze. I giorni si susseguono ed io scopro di essere stato sem­pre di più, con i nuovi peccati di ogni giorno, la causa di queste sof­ferenze. So che tutt’al più la mia partecipazione in solido a tutte, è reale; tuttavia è ripugnante scoprire che questa mia partecipazione è sempre maggiore. Che gli altri ti feriscano pure, ma che non sia io a farlo. Fa’ che non debba pensare che tu, se non fosse stato per me, avresti sentito di meno questa o quell’angoscia morale o fisica. O mio Dio, sono così strettamente imprigionato da non poterne usci­re. O Maria, prega per me. O san Filippo, anche se non merito la tua pietà, prega per me.

Testo:
John Henry Newman, Meditazioni e Preghiere, a cura di VELOCCI G. Jaca Book Milano 2002, 41s.