John Henry Newman – Guida per una vita nella speranza

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Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Tertio millennio adveniente” ci invitava “a riscoprire la virtù teologale della speranza… Il fondamentale atteggiamento della speranza, da una parte, spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera sua esistenza e, dall’altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio” (n. 46).

Negli scritti di John Henry Newman è raro che la speranza venga tematizzata direttamente, però il senso della speranza brilla dappertutto, specie nei suoi discorsi.

In attesa

“E’ la condizione di ogni spirito religioso che non abbia la conoscenza di Cristo: è in attesa” (OS 66)[1]. La voce interiore della coscienza è spesso debole e oscura. Rivela il peccato, ma non può liberarla. E in questo modo conduce l’uomo a essere sempre in attesa di un terreno sicuro e di una vera riconciliazione. Risveglia nell’uomo un desiderio che, secondo Newman, verrà soddisfatto solo con la venuta del Figlio di Dio, cioè nella persona di Gesù Cristo che è la Verità e la Pace.

“Gli anni passano silenziosamente; la venuta di Cristo è sempre più vicina. Conceda a noi di potere, mentre egli si fa più vicino alla terra, avvicinarci di più al cielo” (PPS IV, 331). Colui che ha accettato il Salvatore nel suo cuore e nella sua vita ha certamente, in qualche modo, già colmato questo profondo desiderio, ma non è ancora giunto alla perfezione. Il cristiano è anche in attesa di qualcosa che nella fede può conoscere già in umbris et imaginibus. In questa vita non possiede ancora la salvezza nella sua pienezza, piuttosto vive nella speranza della venuta di Cristo nella gloria e della salvezza eterna nella sua presenza.

Tale atteggiamento di attesa del Signore e della pienezza della redenzione, che dà alla vita del cristiano dinamismo ed energia, è la speranza. Questa virtù corrisponde al primario desiderio umano della felicità e lo orienta verso gli ultimi valori.

Verso lo scopo

“Questa è la nostra reale e vera beatitudine, non da conoscere, da ostentare, o da perseguire; ma da amare, sperare, gioire, ammirare, riverire, adorare. La nostra reale e vera beatitudine consiste nel possesso di quegli oggetti nei quali i nostri cuori possano riposare ed essere soddisfatti” (PPS V, 316).

Molti cercano in questo mondo l’adempimento delle loro speranze. Saltano da un bene temporale all’altro, senza trovare felicità duratura e vera pace. Tutte le speranze mondane passano come il mondo stesso passa. Alla fine, quando gli uomini lasciano questo mondo, le loro fuggenti speranze svaniscono. Con visione profetica Newman già vide la secolarizzazione della speranza cristiana che avrebbe segnato il ventesimo secolo sotto molti aspetti, e che avrebbe allontanato la vita e le azioni di molti dalla visione soprannaturale. Senza stancarsi esortò a preferire il mondo invisibile a quello visibile e a non attaccare il proprio cuore alla cose passeggere.

“Dopo la febbre della vita, dopo le stanchezze e le malattie; le battaglie e gli scoraggiamenti, la fiacchezza e l’irritabilità; dopo esserci sforzati e aver fallito, dopo esserci sforzati ed essere riusciti; dopo tutti i cambiamenti e le opportunità di questa tormentata condizione, finalmente giunge la morte, finalmente giunge il trono di Dio, finalmente la visione beatifica. Dopo l’agitazione viene il riposo, la pace, la gioia – la nostra porzione eterna, se ne saremo degni – la visione della beata Trinità il Santo” (PPS VI, 369f.). L’ultimo e solo scopo della speranza cristiana, impiantata nel cuore attraverso il battesimo, è il Dio Trino. Solo verso di Lui si protende la speranza, perché solo Lui può dar pace a quei cuori che la bramano interiormente, non solo nel mondo futuro, ma anche nel presente.

Come lo dimostra la seguente preghiera, Newman stesso visse con questo fine davanti a lui: “O mio Dio, io mi rimetto senza riserva nelle tue mani. Ricchezza o povertà, dolore o gioia, amicizia o abbandono, onori o umiliazioni, buona o cattiva riputazione, vita dolce o penosa, la tua presenza o la tua assenza, tutto mi sarà dolce se viene da te. Tu sei la sapienza e tu sei l’amore – che cosa posso desiderare di più? Tu mi hai guidato secondo i tuoi disegni, e tu mi hai accolto con gloria. Che c’è per me nel cielo, e, all’infuori di te, che cosa posso desiderare sulla terra? La mia carne, il mio cuore sono sfiniti; ma tu sei il Dio del mio cuore e il mio perenne retaggio”[2].

Fiducia in Cristo

E’ un’utopia la speranza cristiana? Lo sguardo umano, nella sua totale bassezza e manchevolezza, è capace di mirare a un bene talmente alto e totalmente irraggiungibile?

Nel suo sermone “Dio onnipotente – il motivo per la fede e la speranza” Newman risponde a questa domanda con l’osservazione che Dio “non è solo onnipotente ma anche pieno di misericordia … La presenza di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ci spinge alla speranza tanto quanto alla fede, perché il suo stesso nome significa Salvatore, e perché era tanto amabile, mite e amorevole quando era sulla terra”[3] La speranza è basata sulla fede nella fedeltà e misericordia di Dio. Non è una nostra conquista, ma piuttosto un dono. Il Salvatore suscita nel battezzato con la fede anche la speranza. Tuttavia è anche vero che viene richiesta la collaborazione umana, soprattutto la nostra fiducia.

Come è stato sperimentato da Newman, accade che spesso il cristiano oggi, come gli Apostoli nella barca, sono sballottati qua e là dalla furia della tempesta. Hanno paura che Cristo “dorme” e diventano timorosi, perdono coraggio e non vedono alcuna via d’uscita. “Perché temete?”, disse Gesù ai suoi discepoli. Newman sviluppa e rende più attuale questa domanda: “Dovreste sperare, dovreste essere fiduciosi, dovreste porre i vostri cuori in me. La tempesta non può farvi del male se io sono con voi. Potreste stare meglio altrove che sotto la mia protezione? Dubitate della mia potenza o della mia volontà, pensate che io vi trascuri perché dormo sulla barca e non sia in grado di aiutarvi se non sono sveglio? Perché dubitate? Perché temete? Sono con voi da tanto tempo e voi non avete ancora fiducia in me e non potete sentirvi in pace e quieti presso di me?”(CS 28f)

La speranza cristiana trascende tutte le speranze e gli ideali del mondo, tutte le capacità e i desideri puramente umani. E’ una virtù divina. La fiducia in Dio è la sua sicura ancora e il suo solido fondamento. “Guardate in alto, e vedete, come è naturale, una grande montagna da scalare; dite: – E’ mai possibile che noi possiamo trovare un sentiero in mezzo a questi enormi ostacoli? … Non dite così, miei cari fratelli, guardate in alto con speranza, fidatevi di Lui che vi chiama a proseguire… Vi guiderà in avanti passo per passo, come ha guidato tanti altri prima di voi. Farà diritte le vie storte e piane le vie scoscese. Cambierà il corso dei torrenti e asciugherà i fiumi che si frappongono sul vostro cammino” (Mix 213).

Vigilate e pregate

La vista del fine soprannaturale non impedisce il fedele di compiere i suoi doveri terreni, ma piuttosto la virtù della speranza lo sollecita ad assumersi le sue responsabilità qui e ora in accordo con il piano di Dio. Il fedele cerca in ogni tempo e in ogni cosa le tracce del Signore in cui pone la sua fiducia. Egli vive in una grande, interiore vigilanza.

“Non dobbiamo semplicemente credere, ma vigilare; non semplicemente amare, ma vigilare; non semplicemente obbedire, ma vigilare. Vigilare per cosa? Per quel grande evento che è la venuta di Cristo” (PPS IV, 322). Qui Newman per venuta di Cristo intende non tanto la venuta del Signore nel giorno finale, quanto anche la sua venuta negli eventi della vita quotidiana. “Veglia per Cristo chi ha una mente sensibile, premurosa, sollecita, ricettiva; che è desto, consapevole, con un pronto discernimento, zelante nel cercare e onorare il Signore; attento a vederlo in tutto quanto avviene, e che non sarebbe sorpreso, non oltremodo turbato o sopraffatto, se si rendesse conto che sta venendo immediatamente”(PPS IV, 323).

Oltre alla vigilanza Newman prima di tutto vede la preghiera come la realizzazione della speranza cristiana. La speranza diventerà concreta nella preghiera. La preghiera fortifica di nuovo e rende ferma la speranza in mezzo a tutte le gioie e i timori della vita. “Così il vero cristiano passa attraverso il velo di questo mondo e vede il mondo futuro. Si intrattiene con esso; si rivolge a Dio come un bambino si rivolgerebbe ai genitori, con la stessa chiara percezione e incondizionata fiducia in lui; con profonda devozione, certamente, e sacro e riverenziale timore di Dio, ma anche con sicurezza e lucidità, come esprime bene san Paolo: ‘So in chi ho creduto’ (2 Tm 1,12)” (PPS VII, 211).

La virtù della speranza muove il cristiano a compiere i suoi doveri passeggeri con gli occhi sul bene eterno. La fede gli fa conoscere il suo fine, e la speranza lo incita a raggiungerlo con tutta la sua forza. La speranza conferisce alla vita un carattere proprio dell’Avvento. La vita è, in mezzo a tutte le sue preoccupazioni, una grande “attesa per Cristo”[4]. Per questa ragione Newman prega: “Sono peccatore, ma finché ti sarò fedele, tu mi sarai fedele sino alla fine e sovrabbondantemente. Io posso riposarmi tra le tue braccia; posso addormentarmi sul tuo seno. Dammi solo ed aumenta in me quella sincera lealtà verso di te, che è il vincolo dell’alleanza tra me e te, ed il pegno nel mio cuore e nella mia coscienza, che tu, il Dio supremo, non mi abbandonerai, me che sono il più miserabile dei tuoi figli.” (MD 422).


[1] Parochial and Plain Sermons (= PPS I-VIII), Sermons Preached on Various Occasions (OS), Discourses addressed to Mixed Congregations (Mix), Christian Classics, Westminster 1966-1968.

[2] Meditations and Devotions (=MD), Christian Classics, Westminster 1975, 300.

[3] John Henry Newman, Catholic Sermons (=CS), Burns & Oates, London 1957, 28.

[4] Titolo di due sermoni di John Henry Newman. Vgl. PPS VI 234ff., OS 31ff.