«Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve».

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Se tale era la sua maestà visibile, mentre era an­cora soggetto alla tentazione, all’infermità e al do­lore, molto più abbondante fu la manifestazione della sua divinità quando risorse dai morti. Allora l’essenza divina scaturì, per così dire, da ogni lato, e circondò la sua umanità come in una nube di glo­ria. Il suo corpo santo era così trasfigurato che co­lui che si era degnato di nascere da una donna e di pendere dalla croce, aveva in sé, come uno spirito, la capacità inafferrabile di passare attraverso le porte chiuse per raggiungere i suoi discepoli riuni­ti. Per accondiscendere alla prova dei loro sensi, egli mostrò che non era un mero spirito, ma Gesù stesso, come prima, con le mani ferite e il fianco perforato, che parlava loro.

Egli si manifestò loro, in questo stato glorificato, affinché essi potessero essere i suoi testimoni davanti al popolo, testimoni di quelle verità distinte che la ragione umana non sa conciliare: e cioè che egli aveva un vero corpo umano che condivideva le proprietà della sua anima e che era inabitato dal Verbo eterno. Lo toc­carono, lo videro andare e venire mentre le porte erano chiuse, sentirono quello che non potevano vedere, ma che potevano testimoniare fino alla morte: e cioè che egli era «il loro Signore e il loro Dio », una triplice prova: in primo luogo una prova della sua redenzione, poi della loro stessa risurre­zione nella gloria e infine del suo divino potere di condurli sicuri fino a essa. Cosi manifestatosi come vero Dio e vero uomo, nella pienezza della sua sovranità e nell’immortalità della sua santità, egli ascese al cielo per prendere possesso del suo regno. Là egli rimane fino alla fine dei tempi, « Consiglie­re ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,3).

Easter Day. Christ, a Quickening Spirit, PPS, II, pp. 143-144, 3 aprile 1831