Il Cardinalato di Newman

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di Carlo Snider

I. Newman alla vigilia del cardinalato.

L’elevazione di John Henry Newman alla dignità cardinalizia continua ad essere vista come l’apoteosi conclusiva della sua vita travagliata. Più precisamente le si attribuisce il valore di una piena e definitiva riabilitazione di questo pensatore e teologo, oggetto per lunghi anni di accuse accanite, di critiche sistematiche, di insinuazioni malevole. È noto il drastico giudizio di mons. Talbot, cameriere partecipante di Pio IX, uno dei più implacabili avversari di Newman e principale responsabile della lunga diffidenza manifestatasi a Roma nei confronti del grande convertito e delle misure che ne conseguirono, non esclusa quella assai dolorosa che gli impedì il ritorno a Oxford.[1] “Newman – scrisse Talbot all’arcivescovo di Westminster, cardinale Manning,[2] sapendo di trovarlo consenziente – è l’uomo più pericoloso d’Inghilterra”[3]. Nonostante le sofferenze procurategli da tanta incomprensione e ostilità, Newman nella sua condotta si mantenne sempre fedele a quanto confidò a Miss Bowles in una lettera dell’8 gennaio 1867: “Il tempo è il grande rimedio e il grande vendicatore di tutte le ingiustizie. Se siamo pazienti, Dio lavora per noi. Egli lavora per coloro che non lavorano per se stessi”. [4]

Benché sollecitato, egli non volle mai ricorrere contro le accuse mosse ai suoi scritti ed alla sua azione. Lo trattenne dal recarsi a Roma la sua avversione per i viaggi, ma soprattutto la persuasione della inutilità di un intervento personale. Gli atti di benevolenza che gli sarebbero stati tributati dagli organi curiali non avrebbero posto fine alle accuse e alle insinuazioni. Così difatti avvenne. Gli alti elogi di Pio IX, del cardinale Barnabò, prefetto della Congregazione di Propaganda Fide,[5] di altri eminenti personaggi del mondo ecclesiastico romano,[6] raccolti da Ambrose St. John e Henry Bittleston, delegati da Newman a chiarire il suo pensiero e la sua azione presso gli ambienti curiali, parvero il segno di una più serena atmosfera; in realtà non impedirono che lazione degli oppositori continuasse a farsi sentire.

Le sofferenze sopportate per lunghi anni purificarono sempre più 1animo di Newman. Se dai suoi scritti di tanto in tanto il dolore traspare, ciò è quando egli vede impedita una più efficace opera di illuminazione degli animi che ricercano la verità e minacciato l’istituto attraverso il quale, dopo la conversione, egli aveva potuto continuare la sua azione di maestro e di sacerdote. Ma anche quando il lamento si esprime, esso manifesta una incrollabile fiducia in Dio. Ne è un esempio commovente la preghiera da lui innalzata a Dio quando lazione degli avversari sembrava compromettere l’esistenza stessa dell’Oratorio: “Non permettere, o Signore, che il discredito che mi colpisce nuoccia all’opera del mio Oratorio, del quale mi preoccupo, benché debba porlo e lo ponga semplicemente nelle tue mani, o Signore.” [7]

Bastano questi accenni per comprendere come la nomina a cardinale sia stata accolta dallo stesso Newman come una solenne riabilitazione: o piuttosto come il pieno riconoscimento da parte della Santa Sede della ortodossia del suo pensiero, della inconcussa fedeltà alla dottrina e al magistero della Chiesa, del valore della sua opera di pensatore e di maestro.

È una interpretazione esatta, ma non deve far passare in seconda linea un’altra, diventata più evidente col trascorrere degli anni. Il conferimento della porpora cardinalizia al Dottor Newman costituisce un punto di riferimento nella storia dei rapporti tra la Chiesa e il mondo culturale dell’età contemporanea. Con l’avvento di Leone XIII Newman poté avvertire il graduale precisarsi di questi rapporti. Che papa Pecci, creando cardinale il grande convertito, abbia voluto preannunciare una più decisa apertura della Chiesa alla vita culturale dei tempi nuovi lo si potrebbe dedurre dalle parole stesse del pontefice, se veramente pronunciate o esattamente riferite. A Giovanni Battista de Rossi[8] che, permettendolo le antiche relazioni di amicizia, gli chiedeva quale sarebbe stata la linea del suo pontificato, Leone XIII avrebbe risposto : “Aspettate fino a che avrete visto il mio primo cardinale. Comprenderete allora quale sarà la nota caratteristica del mio pontificato.” Alcuni biografi di Newman riportano l’episodio persuasi che il papa alludesse in particolare a lui.[9] Non si può accettare una interpretazione così ristretta. Nel primo concistoro di Leone XIII con Newman furono creati altri nove cardinali e Newman, semplice sacerdote, non avrebbe potuto essere il primo nell’ordine della creazione. È più verosimile che il papa abbia semplicemente alluso al suo primo concistoro. Ciò non muta il significato dato da Leone XIII al cardinalato di Newman.

Per l’antico “fellow” e “tutor” di Oxford l’elezione del cardinale Pecci al soglio pontificio fu il segno premonitore di anni più sereni e di una migliore comprensione della sua opera. Sin dai primi atti del pontificato egli intuì la ferma volontà del nuovo papa di incoraggiare un’attività positiva del pensiero cattolico. Nulla però faceva allora presagire particolari disegni di Leone XIII in favore di Newman, che ormai da tanti anni trascorreva la sua vita nel silenzio e nel raccoglimento di Edgbaston o nel ritiro di Rednal.

II. Le prime istanze a favore del cardinalato.

Il cardinalato di John Henry Newman costituisce il coronamento dei passi ripetutamente intrapresi da esponenti qualificati del laicato cattolico inglese perché, con l’intervento della Santa Sede, fosse restituita a Newman la considerazione che aveva ampiamente meritato. L’iniziativa dei laici si precisò in un certo momento nel desiderio di vedergli conferita la porpora cardinalizia, affinché il valore del suo pensiero ed i meriti cumulati lungo tutta la sua vita nei confronti della Chiesa cattolica fossero posti finalmente sullo stesso piano di riconoscimento e di autorità morale sul quale erano stati posti il pensiero e l’azione di altri ecclesiastici, tutti degni, ma non tutti ugualmente meritevoli di una particolare considerazione. All’iniziativa non mancò la fattiva adesione del cardinale Howard,[10] sincero estimatore di Newman e suo costante difensore nella Curia romana. Trovandosi a Londra nel luglio 1878 egli volle assicurare all’iniziativa l’appoggio di suo cugino il duca di Norfolk. L’adesione del duca fu immediata. Insieme al marchese di Ripon egli si assunse l’incarico di interpellare il cardinale Manning, per disporlo a farsi interprete presso il papa dei voti del laicato cattolico.[11] Le disposizioni d’animo di Manning, notoriamente poco favorevole a Newman, rendevano delicato l’incarico;[12] ma il passo era indispensabile, in quanto Leone XIII non avrebbe mai creato cardinale Newman senza avere prima conosciuto il pensiero dell’arcivescovo di Westminster. Benché la richiesta giungesse all’arcivescovo “as a shock”,[13] egli accettò immediatamente di rivolgere al papa una petizione nella quale avrebbe messo in rilievo i meriti di Newman per i cattolici inglesi.[14] La petizione fu consegnata al cardinale Howard che, appena rientrato a Roma, l’avrebbe presentata personalmente al papa.

La pratica sembrava avviata sotto i migliori auspici. Ma la sorpresa del duca di Norfolk fu grande quando, ricevuto in udienza dal papa ai primi di dicembre, avendo accennato al cardinalato di Newman, si rese conto che, per la prolungata assenza di Howard da Roma, la petizione di Manning non era stata ancora presentata. Leone XIII si dichiarò disposto a prendere in considerazione quanto Norfolk gli chiedeva ma, come era stato previsto, dopo aver sentito il parere del cardinale Manning. Per questo motivo il duca si rivolse nuovamente all’arcivescovo di Westminster pregandolo di redigere una seconda petizione. Non consta che questa nuova petizione sia giunta a Roma, né sappiamo se, di ritorno a Roma, Howard abbia presentato al papa la precedente. Comunque, per quanto autorevoli fossero le istanze del duca di Norfolk, Leone XIII fu immediatamente propenso ad accoglierle per un suo personale impulso di stima e di venerazione verso Newman. Questa disposizione lo indusse a resistere con fermezza alle pressioni di coloro che, fino all’ultimo, cercarono di ostacolare l’attuazione del suo proposito. Nel 1888, ricevendo in udienza Lord Selborne che gli recava un messaggio di Newman, il papa ricordava ancora la forza e la tenacia di tali pressioni : “Ah ! il mio cardinale ! Non fu facile, non fu facile. Si diceva che fosse troppo liberale. Ma io ero deciso di onorare la Chiesa onorando Newman. Io lho sempre venerato e sono fiero di aver potuto onorare un simile uomo”.[15]

III. L’offerta del cappello cardinalizio.

Sin dai primi mesi del suo pontificato Leone XIII fece giungere a Newman dei segni della sua affettuosa considerazione. Ma i sentimenti del papa si palesarono chiaramente nella lettera che, alla fine di gennaio 1879, il segretario di Stato, cardinale Nina, indirizzò confidenzialmente al cardinale Manning, per informarlo che Leone XIII aveva intenzione di creare cardinale Newman e per sapere se questo avrebbe accettato tale dignità.[16] La lettera giunse a Manning il 29 gennaio e in quel giorno stesso fu da lui trasmessa a mons. Ullathorne, OSB, vescovo di Birmingam, perché interpellasse l’interessato, di cui era l’ordinario diocesano.[17] Il vescovo, che si trovava a Oscott, invitò immediatamente Newman presso di sé; ma questo, trovandosi infermo, mandò in sua vece il confratello p. Pope. Il vescovo gli consegnò una lettera che metteva Newman al corrente delle intenzioni del papa.[18] Newman rispose ad Ullathorne con una lettera in latino che avrebbe dovuto essere portata a conoscenza del Cardinale Nina. In essa egli esprimeva la sua gratitudine per la benevolenza attestatagli dal papa. Si dichiarava disposto ad accettare l’alta dignità ma, aggiunse, “sono vecchio e diffido di me stesso. Sono ormai trent’anni che vivo in nidulo meo, nel mio caro Oratorio, nascosto e contento. Perciò supplico Sua Santità di non togliermi a San Filippo, mio padre e patrono. Per l’amore e il rispetto coi quali la lunga serie dei papi ha sempre considerato San Filippo e per la fiducia dalla stessa manifestatagli, prego e supplico Sua Santità di aver riguardo al mio desiderio di rimanere nascosto, alla mia debole salute, ai miei 80 anni quasi compiuti, alla vita ritirata che ho condotto dalla mia giovinezza, alla mia ignoranza delle lingue straniere, alla mia inesperienza degli affari, per lasciarmi morire là dove ho sempre vissuto. Conoscendo i sentimenti di benevolenza di Sua Santità nei miei confronti, che posso desiderare di più ?”[19]

Questa lettera fu recata personalmente da Newman ad Oscott il giorno seguente 3 febbraio e da lui consegnata a mons. Ullathorne, che nella stessa giornata la trasmise al cardinale Manning, accompagnandola con una sua lunga lettera, nella quale erano esposti con maggiore ampiezza i sentimenti di gratitudine dell’oratoriano e i suoi desideri.[20] A Manning scrisse anche Newman, il 5 febbraio, in termini più stringati di quelli che ritroviamo nella sua lettera a Ullathorne.[21] Ma il cardinale aveva già trasmesso a Roma la sola lettera di Newman a Ullathorne, non quella più chiarificatrice del vescovo. Letto separatamente, il testo di Newman poteva essere interpretato come una cortese rinuncia alla dignità offertagli.

Effettivamente, la notizia della rinuncia cominciò a diffondersi insieme a quella della designazione al cardinalato; e poiché essa partiva dall’ambiente della curia arcivescovile, rafforzò la convinzione di un intrigo del cardinale di Westminster per impedire la promozione di Newman. Nel timore che, conosciuta a Roma, la notizia vi potesse suscitare una impressione negativa, l’11 febbraio mons. Ullathorne si decise a scrivere direttamente al cardinale Nina, allegando una copia della lettera che aveva inviato il 3 precedente al cardinale Manning. Fu una decisione opportuna, per non dire necessaria, in quanto nel frattempo il cardinale Manning, chiamatovi dal papa, era partito per Roma convinto del rifiuto. Lo confermava in una lettera inviata da Parigi al duca di Norfolk. Il duca, al quale Newman aveva scritto in termini ben diversi, non persuaso della rinuncia, insistette nel chiedere a Manning con una certa energia da quale fonte avesse attinto la notizia. Richiamava all’attenzione del cardinale la confusione che il fatto avrebbe provocato in Inghilterra e la possibile impressione che l’onore riservato a Newman non vi fosse apprezzato.[22] La lettera di Norfolk raggiunse Manning a Roma ed ebbe un risultato positivo. Persuadendosi di avere male interpretato la risposta di Newman, Manning si trovò in certo qual modo costretto ad impegnarsi a suo favore. Così fu. Dopo aver chiarito la situazione con Leone XIII, con una lettera del 25 febbraio e un telegramma del 27 successivo, Manning informava Ullathorne che il cardinalato di Newman era ormai una cosa sicura.[23]

IV. Il cardinalato di Newman nell’opinione pubblica.

Nel frattempo la stampa inglese propagava i commenti più diversi. Ne aveva dato l’avvio il “Times” del 18 febbraio, annunciando la decisione di Leone XIII e il rifiuto di Newman. Per il “Guardian” del 19 seguente la dignità cardinalizia “non avrebbe fatto del dottor Newman una personalità più grande”. Secondo la “Pali Mail Gazette” “gli ultramontani [speravano] che il cardinalato [risultasse] una invenzione della stampa”. Lo “Spectator” del 22 febbraio era del parere che “se Newman avesse accettato avrebbe dimostrato che Roma non voleva mortificare la corrente che non trovò simpatico il modo di procedere del concilio”. Sotto il titolo ‘Coronatus, non pileatus’ il “Punch” del 1 marzo avvertiva che il cappello cardinalizio non avrebbe onorato Newman, ma, al contrario, Newman avrebbe onorato il cappello; non sarebbe stato bene porre insieme Newman e Manning nello stesso rango.[24]

La divulgazione di questi commenti procurò a Newman una quantità di lettere, sia di felicitazione per la sua elevazione al cardinalato, sia di biasimo per l’asserito rifiuto. Da ogni parte gli si chiedevano informazioni o spiegazioni. Legato dal riserbo che doveva mantenere sulla decisione del papa, e che si sarebbe dovuto rispettare da quanti per ragioni di ufficio ne erano al corrente, egli si trovò in una situazione molto delicata.

V. Manning e Newman.

A renderla tale contribuì anche l’atteggiamento di Manning, il quale, nonostante il dichiarato appoggio, si mostrò sempre piuttosto freddo nei confronti di Newman, sia nei giorni della sua elevazione al cardinalato, sia dopo. È significativo che, soltanto il 19 maggio, sette giorni dopo la creazione cardinalizia, egli abbia trasmesso al neoporporato le felicitazioni dell’episcopato inglese. Il biografo di Manning non manca di ricordare che neppure Newman si mostrò caloroso quando Manning divenne cardinale.[25] Nove anni dopo il conferimento della porpora a Newman il giudizio di Manning rimane aspro. Nel 1888, rimproverando Ullathorne di aver sostenuto con tanto zelo il cardinalato del convertito di Oxford, egli uscì in queste parole: “Lei non conosce Newman come lo conosco io. La fa ballare come vuole. La inganna con parole accuratamente scelte, ed esercita la sua logica con tanta raffinatezza, che Lei col suo candore si lascia abbindolare. In questo Lei non è alla pari con lui.” Ullathorne commenterà lo sfogo di Manning osservando che proprio Manning non era all’altezza di Newman. Manning, osservava, si mostrava diffidente verso Newman, mentre Ullathorne cercava di persuaderlo che non esisteva sulla terra un uomo più leale di lui.[26] Ullathorne non tace il suo pensiero su Manning. Nell’insigne arcivescovo di Westminster egli vedeva soprattutto lo sfarzoso principe ecclesiastico, il riformatore sociale – ciò che non fu Newman -, ma non l’uomo di studio e di continua riflessione, come fu Newman.

Dobbiamo comprendere Manning. La sua intransigente posizione spirituale ed intellettuale, le esperienze fatte nell’itinerario che lo condusse dalla Chiesa anglicana alla Chiesa romana, gli stessi innegabili frutti raccolti in lunghi anni di attento e zelante ministero ecclesiastico, tutto ciò doveva renderlo incline a vedere nella elevazione di Newman al cardinalato la conferma, per lui dolorosa, di un concetto della Chiesa che egli aveva sempre combattuto come pericoloso. Non è mancato chi ha stabilito un confronto tra Newman e Gregorio Nazianzeno, tra Manning e Basilio Magno, e nella prospettiva di questo confronto ha indicato la ragione del diverso comportamento di “Gregorio di Oxford” e “Basilio di Westminster”. Newman appare come “il tipo stesso dell’intellettualista, alle prese con le proprie concezioni, portato per scrupolo e sottigliezza a dubitare di quello che l’attira, a diffidare dei propri postulati, a segare il ramo su cui è posato.” Manning invece è l’uomo di azione in tutta la forza del termine. Per lui le idee non sono affatto “le pedine di un gioco infinitamente sottile e complesso”, ma “delle basi operative sulle quali bisogna costruire”. Un uomo come Manning non poteva simpatizzare con le difficoltà intellettuali di un avversario.[27]

Questo confronto tiene conto sufficientemente esatto della diversa sensibilità dei due personaggi; sensibilità in ambedue acutissima, da rendere difficile all’uno e all’altro non tanto la reciproca stima, quanto il mutuo accordo di pensiero e di azione.

VI. L’annuncio ufficiale del cardinalato.

Superata la difficoltà costituita dal desiderio di Newman di continuare a risiedere nel suo Oratorio di Birmingham – questo desiderio è l’oggetto di un interessante carteggio tra Roma, Westminster e Birmingham – il 15 marzo il segretario di Stato, cardinale Nina, comunicava ufficialmente a Newman la decisione del papa di crearlo cardinale. Nina sottolineava che Leone XIII gli conferiva la porpora “apprezzando 1’ingegno, la dottrina che distinguono la P. V. R.ma, la pietà e lo zelo da Lei addimostrati nell’esercizio del s. ministero, la devozione ed attaccamento filiale alla Santa Sede apostolica ed i segnalati servizi che da lunghi anni sta rendendo alla religione.”[28] La lettera di Nina fu inviata lo stesso giorno a Newman da Manning, che si trovava ancora a Roma.[29]

Da quando ricevette la prima notizia della sua designazione per la dignità cardinalizia, e più ancora dopo che, superate le difficoltà e i malintesi sopra ricordati, la promozione divenne certa e ufficiale, Newman si chiese ripetutamente in quale modo il nuovo pontefice, vissuto per oltre trenta anni nella remota sede episcopale di Perugia, potesse essere tanto informato sul suo conto da tributargli ora un così alto segno di considerazione e di benevolenza. Crediamo di non errare ritenendo che il futuro Leone XIII avesse imparato a conoscere ed apprezzare Newman e la sua azione negli anni lontani della sua nunziatura in Belgio, e che questa conoscenza si debba in particolare a quanto gli riferirono il celebre passionista Ignazio Spencer, uno dei più illustri convertiti inglesi della prima metà del secolo scorso, ed il suo confratello, il beato Domenico Barberi. Nel suo diario, in data 10 luglio 1844, lo Spencer annota di essersi intrattenuto a Bruxelles col nunzio Pecci e di avere parlato con lui del movimento di Oxford, fatto di cui il nunzio si dimostrò ben informato e soprattutto assai interessato.[30] Lanno appresso, il 17 ottobre 1845, il nunzio ricevette la visita di p. Domenico, soli otto giorni dopo che a Littlemore Newman aveva emesso nelle sue mani la professione della fede cattolica, abiurando l’anglicanesimo.[31] È ovvio supporre che il nunzio, conoscendo il ministero svolto da p. Domenico nell’ambiente di Oxford e i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli leader del movimento, primo dei quali era appunto Newman, sia stato in tale incontro informato del grandissimo avvenimento della sua conversione, della cui portata erano entrambi senz’altro ben consapevoli, vista la statura del protagonista, conosciuto e stimato anche dai cattolici. Data l’alta opinione che il beato Barberi aveva delle qualità intellettuali e delle virtù del neoconvertito, ne avrà senz’altro parlato con il nunzio Pecci in termini ammirativi, del resto da questi condivisi, a più grande gioia e consolazione di quest’ultimo.

È chiaro che, promovendo Newman al cardinalato, Leone XIII volle manifestare la sua simpatia e amicizia per l’Inghilterra. Fatte alcune eccezioni, la popolazione cattolica e anglicana reagì positivamente alla decisione del pontefice. Già il 20 febbraio era stato deciso di inviare un messaggio a Leone XIII e a Newman. L’11 marzo fu presa l’iniziativa di costituire un fondo da mettere a disposizione dell’eletto.

Il concistoro per la creazione dei nuovi cardinali fu indetto per il 12 maggio 1879. Il 16 aprile, accompagnato dal p. William Neville, Newman lasciò Birmingham per Londra. Il giorno seguente riprese il viaggio fino a Folkstone dove pernottò. Il 18 attraversò la Manica e proseguì fino a Parigi. Altra tappa del viaggio, necessaria per le sue fragili condizioni di salute, fu Torino, dove giunse il 19 e pernottò al “Grande Albergo della Liguria”. Riprendendo il viaggio Newman sostò il 20 a Genova, il 21 a Pisa, dove si trattenne sino al mattino del 23. Ultima tappa fu Siena. Arrivò a Roma il 24 aprile e, non potendo essere ospitato all’Oratorio di S. Maria di Vallicella, perché requisito dal governo italiano, discese all’Hotel Bristol. Il 27 seguente fu ricevuto in udienza privata dal papa. Di questo incontro, oltremodo affettuoso, egli dà resoconto in una lettera del 2 maggio al confratello p. Henry Bittleston.[32] I giornali romani diedero in quei giorni ripetute notizie sulla personalità del nuovo cardinale, sulla sua opera, sul suo soggiorno nella Città Eterna.

VII. I concistori per la creazione cardinalizia.

La mattina del 12 maggio Newman si trasferì nell’appartamento del cardinale Howard dove, al termine del concistoro segreto, avrebbe ricevuto il biglietto di nomina nella forma e con la solennità allora in vigore. Nel concistoro con Newman furono creati altri nove cardinali: Federico de Fürstenberg, arcivescovo di Olomuc, Giuliano Floriano Desprez, arcivescovo di Tolosa, Ludovico Haynald, arcivescovo di Kalocsa, Ludovico Francesco Pie, vescovo di Poitiers, Amerigo Ferreira dos Santos Silva, vescovo di Oporto, Gaetano Alimonda, vescovo di Albenga, tutti dellordine dei preti; Giuseppe Hergenröther, prelato domestico, dottore dellAccademia di Würzburg, Tommaso Zigliara OP, rettore del Collegio di S. Tommaso d’Aquino in Roma, e il fratello del papa, mons. Giuseppe Pecci, sottobibliotecario di Santa Romana Chiesa, tutti, con Newman, ascritti all’ordine dei diaconi. Erano vescovi e sacerdoti meritevoli per la loro scienza teologica o per il loro zelo pastorale.[33] Alcuni godevano in patria di un sicuro prestigio, che si estendeva oltre i confini della loro diocesi. Fra tutti spiccavano allora i nomi di Pie e di Hergenröther.[34] Ma, per quanto degno di considerazione, nessuno degli eletti poteva essere posto sullo stesso piano di Newman. Pensando alle qualità intellettuali dei nuovi cardinali, Franz X. Kraus scriveva nel suo diario: “Purtroppo la compagnia nella quale il mio eccellente p. Newman entra nel collegio, non è la migliore.”[35] Ma Lady Blennerhassett lo tranquillizza, assicurandolo che il nome di Newman sarà quello che sopravvivrà agli altri.[36] Il tempo le ha dato ragione. Per la qualità del loro pensiero e della loro scienza, per la linea della loro azione, troppo condizionate dal contesto storico in cui vissero, il nome di quei personaggi, nonostante i meriti, è oggi dimenticato. Solo quello di Newman continua a vivere con intatto prestigio, anzi con sempre più ampia, indiscussa e benefica autorità.

Nel concistoro segreto egli fu annunciato come primo dei diaconi; ma dopo la tradizionale richiesta ai cardinali presenti del “quid vobis videtur?”, all’atto della effettiva creazione dei nuovi porporati, egli fu annunciato al terzo posto, dopo Giuseppe Pecci e Hergenröther.[37] È curioso che, nel duplice annuncio al termine dell’allocuzione concistoriale, Newman sia stato erroneamente qualificato come “presbyter Philippianus e Congregationi Londinensi”.[38]

Al termine del concistoro segreto un cerimoniere pontificio portò al nuovo cardinale il biglietto di nomina che fu letto dal Dott. Clifford, vescovo di Clifton, alla presenza di una folla tanto grande “che non pochi […] non poterono trovare luogo nelle vastissime sale”.[39] Il discorso di ringraziamento pronunciato da Newman al termine della lettura è un testo fondamentale per la conoscenza del suo pensiero e l’esatta interpretazione della sua dottrina. Esso fu subito riprodotto integralmente dall’“Osservatore Romano” e dagli altri giornali cattolici romani e italiani.[40] Anche la “Civiltà Cattolica” commentò il discorso qualificandolo come importantissimo. Naturalmente, dalle parole del cardinale la rivista trasse delle considerazioni valide per le condizioni dell’Italia, viste con l’ottica del tempo e secondo la linea che essa allora seguiva. Tra l’altro, nel commento si leggeva: “Chiunque conosce un poco il graduale svolgimento della rivoluzione in Italia, e gli effetti che ne derivarono per la religione, non può sottrarsi alla necessità dell’evidenza, e deve riconoscere altresì che il cardinale Newman tuttoché parlasse poi specialmente dell’Inghilterra, ha scolpito a perfezione anche l’indole del liberalismo italiano, e l’ultimo termine verso cui esso precipita, massimamente per opera dei moderati, e dei liberali-cattolici; i quali sono i più sapienti e più efficaci collaboratori dei frammassoni nella grande opera dell’apostasia sociale da Dio, sia pure che senza mirare a ciò di proposito deliberato.”[41]

Le cerimonie proseguirono la mattina del 13 con l’imposizione della berretta cardinalizia. Compiuto il rito, il cardinale Pecci, primo dei nuovi cardinali presenti, pronunciò il discorso di ringraziamento di prammatica, al quale il papa rispose con brevi ed affettuose parole. La mattina seguente, nella grande aula del Collegio Inglese, gremita di invitati, fu presentato al nuovo cardinale il dono dei cattolici inglesi. Nel discorso di omaggio, letto a nome dei “diletti figli” inglesi, scozzesi, irlandesi, americani residenti in Roma, Lady Herbert disse: “Noi sentiamo che il S. Padre nel crearvi cardinale non soltanto ha dato una pubblica attestazione di stima dei vostri grandi meriti e del valore dei vostri mirabili scritti in difesa di Dio e della sua Chiesa, ma ha conferito anche il massimo onore possibile a tutti i cattolici di lingua inglese, che per tanto tempo vi hanno riguardato come il loro padre spirituale e la loro guida nei sentieri della santità.”[42] La considerazione di Newman “come guida nei sentieri della santità” non sorprende; essa riflette la convinzione maturata nell‘animo di quanti ebbero modo di conoscere e penetrare l’animo e la condotta del Dottor Newman lungo tutta la sua vita. Si pensi all’elogio delle virtù e del tenore di vita nel ritiro di Littlemore tributato a lui non ancora convertito dal beato Domenico Barberi.[43] Quanto all’onore che ne veniva ai cattolici inglesi dalla porpora conferitagli, ciò era stato già confermato da Newman stesso, dopo il concistoro del 12, nel “Biglietto Speech”. Leone XIII, così affermava il nuovo porporato, riteneva che il suo gesto in favore di Newman avrebbe fatto piacere “ai cattolici inglesi ed anche all’Inghilterra protestante”.[44]

La mattina del 15 si tenne il concistoro pubblico, momento culminante dei vari riti allora previsti per le creazioni cardinalizie. Nel corso di esso il papa impose il galero ai nuovi porporati; poi, terminato il rito pubblico, consegnò ai nuovi eletti l’anello cardinalizio e assegnò a ciascuno il titolo presbiterale o la diaconia.[45] A Newman fu data la diaconia di S. Giorgio in Velabro, anche in considerazione del fatto che quel santo è costituito protettore dell’Inghilterra. Nello stesso giorno il cardinale Newman ricevette il biglietto di nomina a membro delle congregazioni di Propaganda, dei Riti, degli Studi, delle Indulgenze e Sacre Reliquie.

Egli poté partecipare a tutti i riti stabiliti dal cerimoniale; ma, per le sue precarie condizioni di salute, non fu in grado di prendere parte ad altre cerimonie. Dovette trascorrere a letto la maggior parte dei giorni seguenti il concistoro pubblico. Ciò diede motivo ad alcuni giornali di diffondere notizie inquietanti sullo stato della sua salute, smentite dall’“Osservatore Romano” del 29 maggio. Peraltro, anche dopo il suo ristabilimento, Newman non poté affrontare le fatiche della cerimonia per la presa di possesso della sua diaconia e quelle delle visite protocollari. Fece una unica eccezione recandosi ai primi di giugno al Collegio Urbano di Propaganda Fide, memore delle istruzioni ivi ricevute dopo la sua conversione al cattolicesimo. In tal modo la sua permanenza a Roma per le fastose cerimonie della creazione cardinalizia, nonostante avesse attirato un’attenzione maggiore di quella prestata agli altri prelati elevati con lui alla dignità cardinalizia, non interruppe il silenzio e il raccoglimento che erano stati la nota costante di tutta la sua vita e lo sarebbero stati ancora, nonostante il fastigio della porpora, fino all’ultimo giorno della sua esistenza terrena.[46]

VIII. Il ritorno del cardinale a Edgbaston.

Questa abituale ritiratezza fu appena turbata dalle calorose accoglienze riserbategli dai connazionali al suo ritorno in patria. Taciute le discussioni sollevate in un primo momento, appena trapelò l’intenzione di Leone XIII di conferire la porpora a Newman, la stampa sottolineava ora l’importanza del fatto, riconoscendo che l’elevazione al cardinalato del Dottor Newman aveva assunto “le proporzioni di un avvenimento nazionale”. Il “Month” scriveva: “È la prima volta che la grande maggioranza degli Inglesi colti e intelligenti provano uno slancio di gioia per la creazione di un cardinale. […] Perfino gli Inglesi protestanti vanno superbi del Dottor Newman come di una grandezza inglese, ed è evidente che essi comprendono che l’onore a lui conferito ridonda in parte sulla nazione, di cui è figlio, e della quale fa mirabilmente risaltare le più nobili doti.” Dando relazione del meeting tenutosi a Londra alla Norfolk House in onore del nuovo cardinale, il “Times” commentava: “L’assembramento cattolico esprime un fatto vero quando insiste sopra l’ammirazione affettuosa che i concittadini del Dottor Newman, a qualsivoglia confessione appartengano, professano oggidì per l’oratore, il pensatore, l’osservatore profondo e sagace, che legge nel cuore umano come in un libro, il grande scrittore il cui stile rassomiglia a delicata armonia.”

Ma, fra tanti festeggiamenti, nessuno commosse Newman come l’invito rivoltogli dal Trinity College di Oxford di presiedere il pranzo tradizionale in occasione del gaudy del 1880. Il giorno precedente, 23 maggio, festa della Trinità, predicò nella St. Aloysius’ Church dei Gesuiti; il giorno seguente partecipò al pranzo, che fu anche più solenne di quello, pure memorabile, offertogli nel febbraio 1878 quando fu proclamato “fellow” onorario del College.[47] L’importanza del cardinalato di Newman non fu affermata soltanto sotto l’aspetto della sua rilevanza nazionale. Essa fu subito compresa nelle sue reali dimensioni storiche, che trascendevano i confini geografici dell’Inghilterra e quelli stessi del tempo in cui il fatto si era compiuto. La creazione cardinalizia del 12-15 maggio 1879 suggerì alla liberale “Opinione” di Roma alcune considerazioni sulla posizione della Chiesa e del Papato dopo la perdita del potere temporale che ci sembrano ancora attuali, non fosse altro per la conferma e la precisazione ad esse recate dalla realtà che oggi viviamo. “Su dieci cardinali testé nominati dal Pontefice – scriveva il giornale nel suo numero del 17 maggio 1879 – otto sono stranieri e due italiani. Il fatto è un indizio di grandi e profonde evoluzioni, che, non avvertite forse dai loro stessi autori, modificano gradatamente l’ordinamento costituzionale della Chiesa. Quando il potere temporale esisteva ancora, il Papa soleva confondere colle cure del principato terrestre, quelle della sua potestà spirituale e, poiché la teocrazia non transige, governava cogli ecclesiastici il piccolo regno. I legati di Bologna, di Ferrara e di altre città dello Stato pontificio riflettevano lo splendore del Papa-Re, erano grandi personaggi che aspiravano ai più alti uffici della Chiesa.” Al cospetto di quei cardinali cinti di fasto, proseguiva il giornale, impallidivano i cardinali stranieri. “Caduto il potere temporale, il Papato si è sentito solitario; i cardinali principi italiani avevano perduto anch’essi la loro piccola corona; rimaneva il Papato, ma bisognava confortarlo con nuove forze e attingere allo spirito della fede universale quella gagliardia che gli scemava il perduto potere temporale. […] Oggidì bisogna che tutte le forze vive e spirituali della cristianità presidino questo Vaticano d’onde si irradia il potere invisibile che la fede di qualunque specie ha sugli animi.”

È un bene o un male? Il giornale non dà risposta, ma avverte: “Ma gli è certo che questo cattolicesimo, il quale, perduto il potere temporale, si fa sempre più universale, si conforta con uomini insigni scelti fra tutti i popoli, si nutre della loro sostanza migliore, accenna a una grande vitalità. Non muore chi si trasforma: chi risarcisce la scemata vita materiale arricchendosi di nuovi elementi.”

Quale parte abbia avuto e continui ad avere in questo costante rinnovamento il pensiero e l’insegnamento di Newman, è cosa troppo nota. Il loro irradiamento si fa ogni giorno più ampio ed efficace. Non ha importanza ricercare se, elevando al cardinalato il grande convertito, Leone XIII abbia inteso onorarlo soltanto per i meriti già accumulati nel fedele servizio della Chiesa cattolica. Anche così limitato nelle intenzioni, l’atto del papa ha proiettato sulla figura di Newman e sulla sua opera una luce che non si è più offuscata, nonostante la persistenza di alcune riserve più meschine che dott. Ad avvalorare l’atto del papa non contribuisce soltanto il riconoscimento del genio intellettuale del cardinale, ma anche la testimonianza da lui stesso resa con la santità della sua vita.

Certamente, questa testimonianza conserva le note inconfondibili del temperamento e dell’intelligenza dell’Uomo; fu però sempre sostenuta dalla convinzione che non gli onori terreni, ma la fede vissuta, il costante sentire Ecclesiam e la perfezione del vivere cristiano lo avrebbero condotto alla beata pacis visio. Uno degli ultimi giorni della sua vita Newman ricevette a Edgbaston la visi­ta della sorella Jemima accompagnata da un nipotino. Al bambino era stato raccomandato di non affaticare con domande il vegliardo. Ma quando si trovò alla sua presenza, il fanciullo, incoraggiato dal cardinale stesso, gli chiese “Chi è più grande, un cardinale o un santo?” Newman, sorridendo, rispose: “Bimbo mio, un cardinale è della terra, terrestre; un santo è del cielo, celeste.”[48]

Il genio e la santità di John Henry Newman oggi non illustrano soltanto la grandezza dell’Uomo, ma anche la dignità e la ragione ecclesiale del collegio cardinalizio del quale egli fu, e rimane, incomparabile decoro.


[1] Nato nel 1816, George Talbot, ultimo figlio del terzobarone Talbot of Malahide, compì gli studi a Eton e a St. Mary’s Hall in Oxford. Nel 1842 fu accolto da mons. Wiseman nella Chiesa cattolica. Ordinato sacerdote nel 1846, l’anno seguente chiese l’ammissione all’Oratorio, ma Newman ricusò cortesemente di accoglierlo. Con l’appoggio di Wiseman, divenne cameriere partecipante di Pio IX. Il suo comportamento in Curia dimostra fondamentalmente esatto il giudizio espresso su di lui nel 1865 da mons. Ullathorne, vescovo di Birmingham, in una lettera a mons. Manning, arcivescovo eletto di Westminster. Talbot era “good and hearted”, ma “notorious want of judgement”. Cf. C. BUTLER, The life and times of Bishop Ullathorne. 1806-1889, London 1926, II, p. 127. Talbot morirà in un asilo di alienati mentali a Passy, presso Parigi, nel 1886.

[2] Nato a Londra da un ricchissimo banchiere nel 1808, Henry Edward Manning studiò a Oxford nella Harrow School e nel Balliol College. Nel 1832 divenne “fellow” di Merton College. Abbracciata la carriera ecclesiastica, fu dapprima vicario, poi pastore di Lavington. Nel 1837 rimase vedovo, dopo quattro anni di serena vita coniugale. Più tardi, superato un iniziale atteggiamento di radicale avversione, si avvicinò al movimento di Oxford, quando Newman se ne era già staccato. Il 6 aprile 1851 emise la professione di fede nella Chiesa cattolica. Ordinato sacerdote dal cardinale Wiseman, pochi mesi dopo la conversione, Manning iniziò lo studio della teologia in Roma come alunno dell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici. Nel 1865 successe a Wiseman nella sede arcivescovile di Westminster. Durante il Concilio Vaticano fu uno dei più ardenti sostenitori dell’infallibilità pontificia. Creato cardinale nel 1875, svolse una intensa attività pastorale. A lui si deve, in gran parte, il consolidamento della riorganizzazione cattolica in Inghilterra. Morì a Londra nel 1892.

[3] “Dr. Newman is the most dangerous man in England, and you will see that he will make use of the laity against your Grace. You must not be afraid of him.” Talbot a Manning, 25 aprile 1867. Cf. W.WARD, The life of John Henry Cardinal Newman, London 1913, II, p. 147. Ad incuorare maggiormente Manning nella sua opposizione a Newman Talbot usciva in queste deliranti parole: “What is the province of the laity? To hunt, to shoot, to entertain. These matters they understand, but to meddle with ecclesiastical matters they have no right at all, and this affair of Newman is a matter purely ecclesiastical”. Ibid., o. cit.

[4] WARD, o. cit., II, p. 129.

[5] Alessandro Barnabò, n. a Foligno nel 1801, già segretario della Congregazione di Propaganda Fide, ne divenne prefetto quando fu creato cardinale nel 1856. Uomo non privo di qualità naturali e di incontestabile scienza canonica, ma offuscate da un “sans gêne” che poteva giungere alla trivialità, soprattutto da un carattere tanto impetuoso da renderlo aspro nei modi, qualche volta persino rozzo e brutale, diresse con polso fermo il suo dicastero. Fu certamente uno dei cardinali più in vista durante il pontificato di Pio IX. Morì nel 1874.

[6] Tra costoro merita di essere ricordato il p. Perrone, uno dei più noti ed autorevoli teologi del suo tempo, professore del Collegio Romano.

[7] WARD, o. cit., I, p. 578.

[8] Sui rapporti di Leone XIII con l’insigne archeologo cf. E. SODERINI, Il pontificato di Leone XIII, Milano 1932, I, pp. 291ss.

[9] Cf. R. SENCOURT, The Life of Newman, London 1948, p. 269 ; L. BOUYER, Newman. Sa vie. Sa spiritualité, Paris 1952, p. 478 ; J. ARTZ, Newmans Kardinalat. Aufschlüsse aus Hintergründen und Begleitumständen, in “Theologie und Philosophie”, 53 (1978), p. 226.

[10] Della famiglia ducale dei Norfolk. Nato nel 1829 a Hainton (Notthingham) studiò a Oscott e a Edimburgo. Fu dapprima ufficiale nella 2.a Life Guards. Nel 1854 entra nel Collegio Inglese di Roma. Lo stesso anno è ordinato sacerdote. Già arcivescovo di Neocesarea e suffraganeo di Frascati, nonché vicario della basilica di S. Pietro in Vaticano. Nel 1877 è creato cardinale. Nel 1881 è nominato arciprete della basilica di S. Pietro e prefetto della Congregazione della Fabbrica di S. Pietro. Nel 1884 opta per la sede suburbicaria di Frascati. Fu di tendenze conciliatrici. Morto a Brighton nel 1892.

[11] WARD, o. cit., II, p. 435.

[12] “This was perhaps the act of the Duke’s life that called forth in the fullest measure that quality of simple straightforward courage that was the secret of the high respect in which he was held, and of the great influence he wielded.” BUTLER, o. cit., II, p. 108.

[13] “To Manning the proposal must have come as a shock.” BUTLER, o. cit., II, p. 108.

[14] La lettera, redatta da Manning in italiano, è riprodotta nella versione inglese in The Letters and Diaries of John Henry Newman, ed. at the Birmingham Oratory with notes and an introduction by Ch. St. Dessain and Th. Gornall, vol. XXIX, Oxford 1976, Appendix I, pp. 423-424. Cf. anche Ward, o. cit. II, pp. 577-578.

[15] L. RIDDING, Sophia Matilda Palmer de Franqueville, 1852-1915. A Memoir, London 1919, p. 190. La contessa, figlia di Lord Selborne, era presente all’udienza. Cf. anche BUTLER, o. cit., II, p. 110.

[16] Letters and Diaries, XXIX, p. 16; cf. anche WARD, o. cit., II, p. 438; ARTZ, o. cit., p. 222; BUTLER, o. cit., II, p. 110.

[17] Letters and Diaries, XXIX, p. 16. WARD, o. cit., II, p. 438; BUTLER, o. cit., II, p. 110.

[18] Letters and Diaries, XXIX, p. 17. Cf. BUTLER, o. cit., II, pp. 110-111.

[19] Letters and Diaries, XXIX, p. 18. Cf. BUTLER, o. cit., II, pp. 111-112; WARD, o. cit., II, pp. 439-440.

[20] Letters and Diaries, XXIX, pp. 19-20. Cf. WARD, o. cit., II, pp. 440-442; E.S. PURCELL, Life of Cardinal Manning, Archbishop of Westminster, London 1896, II, pp. 558-559; BUTLER, o. cit., II, pp. 112-113.

[21] Letters and Diaries, XXIX, p. 22. Ancora più secco è un biglietto del 4 precedente per ringraziare Manning di avergli resa nota la lettera di Nina e per avvertirlo che avrebbe risposto al Segretario di Stato tra­mite Ullathorne. Vedi anche PURCELL, o. cit., II, p. 560; BUTLER, o. cit., II, p. 114.

[22] Anche la lettera di Ullathorne a Nina era redatta in latino. Cf. Letters and Diaries, XXIX, pp. 24-25. La lettera di Norfolk a Manning reca la data del 22 febbraio. Ibid., p. 23 in nota. Sulla data del viaggio di Manning a Roma i biografi non sono concordi. Butler scrive che l’arcivescovo partì da Londra il 15 febbraio. Cf. o. cit., II, p. 116. Ward non indica una data precisa. Cf. o. cit., II, p. 446. Da una lettera di Manning a Nina del 4 gennaio 1879, da noi rinvenuta in un fondo dell’Archivio Segreto Vaticano, risulta che l’invito di Leone XIII giunse a Manning tramite mons. Stonor. Manning avverte Nina che, “ultimati due gravissimi affari”, si metterà “prontamente” in viaggio “verso il fine del mese”. Arch. Segreteria di Stato, 1879/R 2/32866. Un’allusione al viaggio si ritrova nella ricordata lettera di Nina a Manning della fine di gennaio, nella quale è espressa l’intenzione del papa di creare cardinale Newman. Nina ritiene prossimo l’arrivo a Roma dell’arcivescovo di Westminster. Cf. Letters and Diaries, XXIX, p. 16. Dob­biamo ritenere che il cardinale abbia lasciato Londra al più tardi ai primi di febbraio.

[23] Nella lettera Manning avvertiva anche che la questione della residenza era stata risolta. Cf. WARD, o. cit., II, p. 446; BUTLER, o. cit., II, p. 117.

[24] BUTLER, o. cit. II, p. 118.

[25] PURCELL, o. cit., II, pp. 306 ss.

[26] Butler, o. cit., II, pp. 159-160.

[27] D. GORCE, Le martyre de Newman, Paris 1961, p. 215.

[28] Letters and Diaries, XXIX; p. 84. Traduzione inglese a lato. La lettera di Nina è indirizzata al “R.mo P. Giovanni Enrico Newman Prete dell’Oratorio di Londra“.

[29] Letters and Diaries, XXIX, p. 84. Cf. WARD, o. cit., II, p. 540.

[30] U. YOUNG, C.P., Life of Father Ignatius Spencer, London (1933), p. 119. Vedi anche Father Pius (DEVINE), Life of Father Ignatius of St Paul, Passionist (The Hon. and Rev. George Spencer), Dublin and London 1866, p. 284.

[31] U. YOUNG, Life and Letters of the Venerable Father Dominic (Barberi), London 1926, p. 259; FEDERICO dell’ADDOLORATA (P.) C.P., Il Beato Domenico della Madre di Dio Passionista Mistico, Apostolo Scrittore. (1792-1849), 2 ed., Roma 1963, pp. 387, 401.

[32] Letters and Diaries, XXIX, p. 121. Cf. WARD, o. cit., II, p. 458.

[33] I cardinali de Fürstenberg, Desprez, Haynald, Pie, Ferreira dos Santos Silva non vennero a Roma. Essi avrebbero ricevuta la berretta cardinalizia dai sovrani o capi della loro nazione. Pertanto a Roma furono presenti soltanto il cardinale Alimonda e i quattro cardinali diaconi. Ma anche Alimonda, caduto ammalato, non poté partecipare a nessuno dei concistori.

[34] Riteniamo superfluo ricordare la vita e le opere dei due cardinali. Fürstenberg fu un vescovo zelante e benefico. A Desprez si deve la fondazione dell’Istituto Cattolico di Tolosa. Alimonda ebbe soprattutto fama di oratore. Indubbia autorità godette il corso Zigliara soprattutto nell’ambiente della Curia romana, entro il quale rimase circoscritta la sua azione di insegnante e di consultore delle varie congregazioni. Pecci deve, ovviamente, il cappello all’affetto del fratello. Fu di ingegno acuto ma di carattere piuttosto bizzarro ed instabile. Già membro della Compagnia di Gesù, ne uscì nel 1848 per rientrarvi da cardinale nel 1888, due anni prima della morte. Haynald fu un vescovo straordinariamente caritatevole, oltre che pastore zelante. Come la maggior parte dei vescovi dell’Impero Austro-Ungarico fu un prelato aulico. Si acquistò in particolare fama di insigne botanico. Il suo erbario, che occupava cinque grandi sale del palazzo arcivescovile, era tra i più completi del mondo intero. La sua biblioteca specializzata non aveva rivali.

[35] “Leider ist die Gesellschaft, in welcher mein trefflicher Pater Newman in das Kollegium eintritt, nicht die beste”. Cf. F.X. KRAUS, Tagebücher, hrsg. v. H. Schiel, Köln 1957, pp. 397 s.

[36] ARZT, o. cit., p. 227.

[37] La precedenza è dovuta al fatto che Pecci ed Hergenröther erano prelati domestici.

[38] Nell’Archivio Vaticano è conservato il manoscritto dell’allocuzione con la firma autografa di Leone XIII. Il testo è stato corretto da una mano diversa da quella che lo ha redatto. Si deve credere che la correzione sia stata fatta subito dopo il concistoro, perché “L’Osservatore Romano” del giorno 14, riproducendo il testo italiano dell’allocuzione, annuncia Newman come “Prete filippino della Congregazione di Birmingham”, mentre il giorno precedente aveva riprodotto il testo latino nei termini da noi citati. L’indicazione di “presbyter … e Congregationi Londinensi” è rimasta nel testo pubblicato dagli Acta Sanctae Sedis e delle successive raccolte degli Atti di Leone XIII. Abbiamo già detto che anche il cardinale Nina nella lettera di fine gennaio, con la quale informava Manning della decisione di Leone XIII, qualifica Newman, come membro dell’Oratorio di Londra. Questa erronea indicazione preoccupò subito Newman che ne volle parlare col papa stesso nell’udienza di congedo concessagli il 2 giugno. Negli appunti da lui stesi in latino (con qualche frase italiana) in vista di questa udienza, leggiamo: “Ho una preghiera da presentare alla Santità Vostra, se non sia troppo. Jam per viginti continuos annos, Officiales, qui negotia exequuntur Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, confuse et temerarie egerunt de rebus Oratorii Birminghamiensis et Oratorii Londinensis, quasi Oratoria haec unum corpus constituerint, cum sint duo, et utrumque habeat traditiones suas, agendi modos, opiniones, devotiones suas, et utrumque sit liberum et independenter agat in loco suo. Exempli gratia, dispensationes, petitae ab hoc Oratorio, concessae sunt alteri, et variis modis incommoda ejus modi oriuntur. Unde querelae et simultates inter domum et domum.” Ad evitare ulteriori malintesi, Newman chiedeva a Leone XIII che l’Oratorio di Birmingham fosse formalmente riconosciuto dalla Congregazione di Propaganda col Titolo di “Oratorio del Cardinale”, “in memoriam benignissimi actus Sanctitatis Vestrae, quo dignatus es Praepositum illius Oratorii elevare ad Sacrum Collegium Cardinalium”. Cf. Letters and Diaries, XXIX, p. 135. Significativa in proposito la lettera confidenziale che Newman inviò da Livorno al duca di Norfolk il 18 giugno. Letters and Diaries, XXIX, p. 142

[39] WARD, o. cit., II, p. 459. Cf. “Civiltà Cattolica”, vol. 10, 1879, fasc. 693, p. 35. Il 7 maggio Newman aveva inviato al vescovo Clifford un biglietto pregandolo di recarsi da lui “prisoner in (…) bedroom with a bad cold.” Clifford scrisse poi sullo stesso biglietto questo appunto: “This note was sent to me by Cardinal Newman to consult me about his address on receiving the biglietto. W H C.” Cf. Letters and Diaries, XXIX, p. 123.

[40] Cf. “L’Osservatore Romano”, “Voce della Verità”, ecc. del 14 e 15 maggio.

[41] “Civiltà Cattolica”, vol. cit., 1879, fasc. cit., p. 35.

[42] “We feel that in making you a Cardinal, the Holy Father has not only given public testimony to his appreciation of your great merits, and of the value of your admirable writings in defence of God and his Church, but has also conferred the greatest possible honour on all English-speaking Catholics, who have long looked up to you as spiritual Father, and as their Guide in the paths of holiness”. Cf. Speech of his Eminence Cardinal Newman, Rome 1879, p. 11.

[43] FEDERICO DELL’ADDOLORATA (P.), o. cit., p. 459.

[44] “He judged it would give pleasure to English Catholics, and even to Protestant England, if I received some mark of his favour.” Cf. Speech cit., p. 6.

[45] Sembra che Leone XIII dapprima volesse assegnare a Newman la diaconia di S. Nicola in Carcere; ma di ciò non abbiamo trovato conferma in nessun documento. Que­sta diaconia fu data al cardinale Hergenröther.

[46] Newman partì da Roma il 4 giugno diretto a Livorno, dove si trattenne fino al 20 per riposare. Convalescente, ripartì per Genova il 21. Proseguì per Parigi. Il 25 era a Boulogne-sur-Mer, il 27 a Folkestone, il 28 a Brighton dove rimase sino al 30, giorno del suo arrivo a Londra.

[47] Letters and Diaries, XXIX, p. 430. Cf. anche WARD, o. cit., II, p. 473.

[48] BOUYER, o. cit., p. 485.