Mistero di pietà

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Questo grande mistero che ora stiamo celebrando ha origine nella misericordia e si conclude nella san­tità. Newman

La nascita del nostro Salvatore nella carne è il pegno e l’inizio della nostra nascita nello Spirito; E’ una figura, una promessa, una garanzia della no­stra nuova nascita e realizza ciò che promette. Con il nostro Signore Gesù siamo nati anche noi e la nostra vita scaturisce dalla sua morte. Come egli è Figlio di Dio per natura, così noi siamo figli di Dio per grazia, ed è Cristo che ci ha resi tali. Egli è il « santificatore », noi i « santificati », e abbiamo ori­gine da uno solo. Dio santifica gli angeli, ma in que­sto caso il creatore e la creatura non hanno origine da uno solo. Ma noi abbiamo col Figlio di Dio ori­gine da uno solo; egli è divenuto « il primogenito di ogni creatura »; Cristo ha preso la nostra natura, ed in essa e per mezzo di essa ci santifica. Egli è nostro fratello in virtù della sua incarnazione; per­ciò, come dice S. Paolo « non si vergogna di chia­marci fratelli » (Eb. 2, 11), e ci comunica la nostra natura dopo averla santificata in sé.

Questa è la meravigliosa economia della grazia, il mistero di pietà che dovrebbe essere sempre pre­sente alle nostre anime, specialmente in questo tempo nel quale il Dio Santissimo ha preso su di sé la nostra carne da « una vergine pura, per opera dello Spirito Santo, per liberarci da ogni peccato ». Dio « abita in una luce inaccessibile che nessun uomo può vedere » (1 Tim. 6, 16); egli « è la luce e in lui non c’è tenebra » (1 Gv. 1, 5). « Il suo vestito – così ci è descritto nella visione del profeta – è bianco come neve e i capelli della sua testa candidi come lana; suo trono sono vampe di fuoco, con le ruote di fuoco fiammeggiante» (Dan. 7, 9). Tale è lo splendore del Figlio di Dio, di colui che è « la luce vera che illumina ogni uomo che viene in que­sto mondo » (Gv. 1, 9). Nella Trasfigurazione « la sua faccia divenne risplendente come il sole e le sue vesti candide come la luce » (Mt. 17, 2; cfr. Me. 9, 3; Le. 9, 29). Quando apparve a S. Giovanni « aveva il capo ed i capelli bianchi come candida lana, come neve, e gli occhi quali fiamme di fuoco, i piedi simili al bronzo, come arroventati in un forno… il suo viso era luminoso come il sole quando risplende in tutta la sua potenza » (Apoc. 1, 14-16). Tale è la santità del nostro Signore, poiché egli è il Figlio di Dio dall’eternità. Da sempre esiste il Padre, da sempre esiste il Figlio: eterno il Padre e perciò eterno il Figlio, perché il nome di Padre implica il Figlio, e non vi è stato mai un tempo nel quale non sia esistito il Padre Onnipotente ed il Figlio nel Padre. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni è detto: « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio » (Gv. 1, 1). Lo stesso apostolo parla del Verbo come esistente «nel seno del Padre », della « gloria che ha avuto presso il Padre prima che il mondo fosse» (Gv. 17, 15). E S. Paolo chiama il Figlio « irraggiamento della glo­ria di Dio, immagine espressa dalla sua persona » (Eb. 1, 3), « immagine di Dio invisibile » (Col. 1, 15). Nessuno può essere come nostro Signore; Gesù Cristo, Figlio Unigenito di Dio, è di natura divina e della stessa sostanza del Padre, cosa che non si può dire di nessun’altra creatura. E’ uno con Dio e la sua natura è misteriosa e incomunicabile. Per­ciò S. Paolo, mettendo a confronto la dignità di Gesù Cristo con quella degli angeli, mostra l’infinita superiorità del Figlio di Dio: « A quale degli angeli infatti disse: “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato?” ». E ancora, al momento di introdurre il Primogenito nel mondo dice: « Lo adorino gli angeli di Dio » (Eb. 1, 5-7). E l’apostolo continua: « A quale degli angeli fu detto: “Siedi alla mia destra, intanto che io faccio dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”? » (Eb. 1, 13). Degli angeli invece è detto: « Neppure i santi godono la sua fiducia e i cieli non sono abbastanza puri agli occhi di lui»  (Gb.  15,15). Ma Dio Padre dice del nostro Signore: « Que­sto è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compia­ciuto » (Mt. 3, 17). Egli creò il mondo, intervenne, nei tempi antichi, nella storia del creato, si mostrò un Dio vivo e vigilante anche quando gli uomini non si curavano di lui. Questo grande Dio accondiscese a scendere dal suo trono celeste sulla terra e ad essere generato nel mondo da lui creato; egli si mostrò come Figlio di Dio in un modo nuovo, in una natura creata. Questa è la prima riflessione che ci suggerisce la nascita di Cristo.

Osserviamo ancora che il Figlio Santissimo di Dio, pur accondiscendendo a nascere nel mondo, venne fra noi in una maniera conveniente al Tutto Santo, non come gli altri uomini. Prese su di sé la nostra natura, ma non il nostro peccato; si rivestì della nostra natura, ma in modo soprannaturale. Discese egli dal cielo trasportato sulle nubi? Formò per se stesso un corpo non intaccato dalla polvere della terra? No; il Signore, come gli altri uomini, dice S. Paolo, fu « fatto di donna », perché volle pren­dere su di sé non un’altra natura, ma la natura umana. Era stato profetizzato fin dall’inizio che il seme della donna avrebbe schiacciato il capo del serpente. « Io, disse il Signore Onnipotente dopo la caduta di Adamo, porrò inimicizia fra te e la donna, fra il seme tuo e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo » (Gen. 3, 15). Per questa promessa nel tempo antico molte donne virtuose vivevano sempre in vigile at­tesa, nella speranza che per la loro preghiera la pro­messa avrebbe finalmente trovato compimento. Una dopo l’altra sperarono di dare alla luce il re pro­messo. Per questo il matrimonio era in grande onore e la verginità disprezzata; si pensava infatti che, se­condo il corso naturale delle cose, il messia sarebbe nato dall’unione di un uomo con una donna. Queste figlie di Israele erano donne religiose, ma poco com­prendevano la condizione del genere umano. Era sì stabilito che il Verbo eterno sarebbe entrato nel mondo per mezzo d’una donna, ma egli non poteva essere generato come gli altri uomini. L’umanità è una razza decaduta. Dal tempo del peccato originale vi è « colpa e corruzione nella natura di ogni uomo che viene naturalmente generato dalla discendenza di Adamo… ». La carne ha sempre desideri contrari allo Spirito, e perciò ognuno che viene in questo mondo merita l’ira di Dio e la dannazione. L’evange­lista Giovanni deve confessare che la concupiscenza e la passione provengono dalla natura caduta nel peccato. « Ciò che è nato dalla carne è carne » (Gv. 3, 6). E Giobbe: « Chi può trar purezza dall’immon­dizia? » (Gb. 14, 4). Il santo Davide grida: « Pietà di me, poiché nella colpa sono nato, e nel peccato mi ha concepito mia madre » (Sal. 51, 7). Nessuno è venuto nel mondo senza colpa. Ci si può liberare dal peccato che si porta nella carne fin dalla nascita solo per mezzo di una seconda nascita nello Spirito. E come poteva il Figlio di Dio, il Salvatore Santo, entrare nel mondo come gli altri uomini? Come avrebbe potuto soddisfare per i nostri peccati se fosse stato egli stesso nella colpa? o purificare i nostri cuori essendo nell’impurità? o sollevare il nostro capo un figlio della vergogna? Un messaggero simile avrebbe avuto bisogno di un Salvatore per il suo male, e gli si sarebbe potuto applicare il proverbio: « Medico, cura te stesso ». Sacerdoti fra gli uomini sono coloro che offrono sacrifici « prima per i propri peccati, poi per quelli del popolo» (Eb: 7, 27); ma egli, venendo come l’agnello immacolato di Dio, come Sommo Sacerdote, non poteva venire fra noi nel modo che prevedevano gli antichi Ebrei. Volle invece rivestire la carne umana in una maniera sin­golare e nuova, nella sola maniera che gli si addi­ceva. Il profeta Isaia l’aveva annunciato per primo: « Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: una Ver­gine concepirà e darà alla luce un figlio, che sarà chia­mato Emmanuele » (Is. 7, 14).

S. Matteo, dopo aver citato il testo, ne rivela il compimento nella persona della Vergine Maria. « Tut­to questo avvenne affinché si adempisse quanto era stato predetto dal profeta ». Inoltre due angeli se­paratamente, uno a Maria e l’altro a Giuseppe, mo­strarono l’artefice adorabile di questo prodigio: « Giu­seppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, poiché colui che in lei è conce­pito è opera dello Spirito Santo ». E continua: « Essa darà alla luce un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché salverà il suo popolo dai loro peccati ». Gesù è « colui che salva dal peccato » perché ha preso carne dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. L’angelo Gabriele aveva già detto a Maria: « Ave, o piena di grazia, il Signore è con te: bene­detta tu fra le donne »; e poi dichiara che il suo figlio si chiamerà Gesù, che « sarà grande, e sarà chiamato il Figlio dell’Altissimo e il suo Regno non avrà fine ». E conclude annunciando: « Lo Spi­rito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra; per questo colui che na­scerà da te sarà chiamato il Figlio di Dio ». Per l’opera misteriosa dello Spirito Santo, che è Dio, il Figlio di Maria è il « Santo », « il Figlio di Dio », « Gesù », l’erede di un regno eterno.

Questo grande mistero che ora stiamo celebrando ha origine nella misericordia e si conclude nella san­tità, secondo quello che dice il Salmo: « Si sono ba­ciate la giustizia e la pace ». Colui che ha in sé ogni purezza volle abitare in mezzo a una razza impura per sollevarla alla propria purezza. Egli, splendore della gloria di Dio, rivestì un corpo di carne sen­z’ombra e senza macchia, santo ed immacolato. Si incarnò per noi affinché divenissimo partecipi della sua santità. Per se stesso non aveva bisogno di una natura umana, poiché era perfettissimo nella sua natura divina; ma per noi prese su di sé ciò che era nostro. Colui che ha fatto sorgere da un solo uomo tutte le nazioni, così che nel peccato di uno solo tutti peccassero e nella morte di uno solo tutti mo­rissero, venne veramente nella natura di Adamo per comunicarcela quale essa è in lui, affinché i nostri corpi di peccato divenissero puri per il suo corpo, e le nostre anime fossero lavate nel suo preziosis­simo sangue; si incarnò per renderci partecipi della natura divina, per mettere nei nostri cuori il seme della vita eterna, per sollevarci dalla corruzione del mondo della concupiscenza a quella immacolata pu­rezza e pienezza di grazia che risiedono in lui. Colui che è primo principio ed archetipo di tutte le cose venne in questo mondo per essere l’inizio e il mo­dello del genere umano, il primogenito di tutta la creazione. La luce eterna divenne la luce degli uomini; colui che è la vita fin dall’eternità diventò la vita di una razza morta nel peccato; colui che è la Parola di Dio venne per essere una Parola spirituale,dimorante nei nostri cuori, una Parola infusa in noi,capace di salvare le anime nostre; colui che è Figlio,uguale al Padre, discese per essere il Figlio di Dio nella nostra carne, per sollevarci all’adorazione di  figli, per essere il primo fra molti fratelli. Per que­sto la Colletta del tempo, dopo aver parlato del no­stro Signore come del Figlio Unigenito, nato nella; nostra natura da una vergine pura, parla della nostra nuova nascita, della nostra figliolanza adottiva e del nostro rinnovamento per opera dello Spirito Santo. Venuto nel mondo egli fu modello di santità nella sua nascita e nelle circostanze della sua vita. Non si compromise e non si contaminò con i peccatori. Discese dai cieli, compì in breve tempo l’opera della giustizia e ritornò di nuovo là donde era venuto. Venne in questo mondo, ma se ne allontanò dopo breve tempo, come per insegnarci quanto poco i suoi seguaci debbano aver a che fare con il mondo. L’eterno Verbo di Dio non volle godere una lunga  esistenza sulla terra come Matusalemme, non volle neppure esaurire il tempo di una vita normale; ma venne e se ne andò ancor prima che gli uomini si accorgessero che era venuto, come il lampo che guiz­za da una parte all’altra del cielo, poiché il Verbo, 1inizio della nuova ed invisibile creazione, non vuole aver parte con il vecchio Adamo. Era nel mondo, ma non era del mondo: e mentre il Figlio dell’uomo conversava con gli uomini era anche in cielo, e men­tre comandava ai venti, l’Unigenito Figlio di Dio era realmente membro e parte di quell’umanità mortale i nella quale aveva accettato di dimorare. Egli non poteva fermarsi o attendere sulla terra; venne solo per compiere la sua opera e poi se ne andò. Il Signore, nella sua vita in terra, non trovò appagamento o piacere, e non volle alcuno dei suoi beni tanto conclamati. Quando si abbassò fino alla sua creazione caduta nel peccato, non accettò che questa gli somministrasse quanto aveva di meglio, e rifiutò di ricevere un’offerta o un tributo da un mondo decaduto. Solo la natura rigenerata può osare di ser­vire il Santo. Egli non poteva accettare alloggio, rico­noscimenti o lusinghe dal regno delle tenebre. Rifiutò di essere proclamato re e di farsi chiamare « maestro buono »; non volle avere un luogo ove posare il capo. La sua vita era nascosta in colui dal quale era venuto ed al quale ritornava. « La luce risplendette nelle tenebre e le tenebre non la compresero ». Per la moltitudine egli era un uomo come gli altri. Seb­bene concepito per opera dello Spirito Santo, era nato da una povera donna che, cacciata fuori da un albergo ove la gente era troppo numerosa, lo aveva dato alla luce in una stalla. O meraviglioso mistero subito manifestato! Anche nella sua nascita il Figlio di Dio rifiutò l’accoglienza del mondo! Crebbe come il figlio del falegname, senza istruzione, di modo che quando incominciò ad insegnare, i suoi vicini si meravigliavano: « Donde viene a lui tanta sapienza? Non è costui il figlio del falegname? ». Fu reputato alla stregua del padre, e dichiaralo di umili origini. E quando Gesù rivelò la sua persona, l’umiltà dei suoi natali parve agli occhi del mondo come la confu­tazione di ciò che egli proclamava. Poiché era vissuto in una città di scarsa reputazione, anche i migliori dubitavano e si chiedevano: « Può forse uscire qual­cosa di buono da Nazareth? ». No, Cristo non rice­vette da questo mondo conforto, aiuto, accoglienza: « il mondo fu fatto da lui e il mondo non lo conob­be ». Cristo venne nel mondo come un benefattore, non come un ospite.

Quando, cresciuto nell’età, cominciò a predicare il Regno di Dio, il mondo lo trattò come per l’in-nanzi. Il Signore scelse invece la porzione di quei santi che lo avevano preceduto e prefigurato: Abra­mo, Mosè, Davide, Elia e il suo precursore Giovanni Battista. Visse in libertà, senza i legami della casa e senza una dimora stabile; visse come un pellegrino nella terra promessa, dimorò nel deserto. Abramo visse sotto le tende nella terra che i suoi discendenti avrebbero posseduto. Davide vagabondò per sette anni senza meta durante la persecuzione di Saul; Mosè fu prigioniero del deserto spaventoso lungo tutta la via che conduce al Monte Sinai e fino alla terra promessa. Elia vagò dal Monte Carmelo al Monte Sinai. Giovanni Battista visse nel deserto fin dalla giovinezza. Simile alla loro fu anche la vita del nostro Signore durante il suo ministero pubblico: egli era ora in Giudea, ora in Galilea; lo troviamo sul monte, nel deserto, in città. Ma non acconsentì mai ad avere una dimora, neppure nel tempio del suo Padre Onnipotente in Gerusalemme.

Ora non era affatto necessario che Cristo soppor­tasse tutto questo per portare a compimento il dise­gno di misericordia che lo aveva spinto ad incar­narsi. Pur sottomettendosi, con una condiscendenza incomprensibile, alla morte sulla croce, perché volle fin dall’inizio disprezzare il mondo, quando ancora non stava espiando per i suoi peccati? Avrebbe al­meno potuto godere di fratelli che lo amassero, avrebbe potuto essere riverito e stimato in casa, ono­rato nel proprio paese, avrebbe potuto sottomettersi solo alla fine a ciò che aveva scelto fin dall’inizio. Avrebbe potuto dilazionare le sue volontarie soffe­renze fino all’ora che il Padre e la propria volontà avevano scelto…

Ma egli agì diversamente, e divenne così modello per noi che siamo suoi discepoli. Colui che era tanto separato dal mondo e così unito al Padre anche nei giorni della sua carne, chiama noi, suoi fratelli, che siamo in lui come egli è nel Padre, ad essere segno di ciò che realmente siamo, a non essere del mondo pur essendo nel mondo, a vivere costantemente alla presenza di Dio.

Molti pensano che la perfezione della natura uma­na consista, come prima della venuta dello Spirito, nell’esercizio di tutte le funzioni specifiche, animali e razionali, e non nell’assoggettamento e nel sacri­ficio di ciò che in noi è inferiore a ciò che è migliore. Cristo, inizio e modello della nuova creatura, viveva fuori del corpo pur essendo nel corpo; la sua morte era certo esigita come una espiazione; ma perché fu la sua vita così mortificata, se tale austerità non for­masse la gloria dell’uomo?

In questo tempo avviniamoci a lui con timore e amore, perché in lui risiede ogni perfezione e in lui ci è concesso conquistarla. Accostiamoci a colui che santifica per essere santificati. Accostiamoci a Cristo per imparare a conoscere il nostro dovere e per ricevere la grazia di compierlo. In altre occa­sioni abbiamo parlato della vigilanza, del lavoro fa­ticoso, della lotta e della sofferenza; ora invece ab­biamo ricordato semplicemente i doni che Dio ha fatto a noi peccatori. Egli ci ha salvato non per le nostre opere di giustizia, ma per la sua misericor­dia. Abbiamo ricordato che nulla possiamo fare, e che Dio può tutto. Questo è il tempo privilegiato della grazia. Vediamo e sperimentiamo la grazia di Dio. Siamo davanti al Signore come quei poveri es­seri impotenti che durante il suo ministero gli veni­vano portati su letti e barelle per essere curati. An­diamo a lui per essere sanati. Accostiamoci al Signore come bambini, per essere nutriti ed istruiti, « come infanti che desiderano il latte puro della parola per crescere in salute » (1 Pt. 2, 2). Questo è il tempo dell’innocenza e della purezza, della gentilezza, della dolcezza, della gioia, della pace. E’ un tempo nel quale la Chiesa intera sembra vestita di bianco, nella splendente e luminosa veste battesimale che essa porta sul monte santo. Cristo in altro tempo viene con le vesti tinte di sangue, ma ora viene a noi in tutta serenità e pace, e ci comanda di gioire in lui e di amarci l’un l’altro. Non v’è tempo ora per la tristezza, per la gelosia, la preoccupazione, per gli eccessi o la licenza: non è questo il tempo per « i festini e le gozzoviglie, per le lascivie e le impudi­cizie, per le contese e le gelosie » (Rom. 13, 13), come dice l’Apostolo; ma è il tempo di rivestirsi di Gesù Cristo « che non conobbe peccato e nella cui bocca non si trovò inganno ».

Che l’arrivo di ogni nuovo Natale ci trovi sempre più simili a colui che, in questo tempo, è divenuto un piccolo bambino per salvarci; che ogni nuovo Natale ci trovi più semplici, più umili, più santi, più caritatevoli, più rassegnati, più lieti, più pieni di Dio.

PPS V, 7 The Mystery of Godliness pp. 86-98: traduzione italiana in “Sermoni liturgici, pp. 103-113.