Peccati di ignoranza e debolezza

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«Accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura» (Eb 10,22)

Fra i motivi che possono essere assegnati all’osservanza della preghiera in certi tempi stabiliti, ve n’è uno molto ovvio, che però non è così puntualmente ricordato e osser­vato come dovrebbe essere. Mi riferisco alla necessità che hanno i peccatori di purificarsi di tanto in tanto dall’accu­mulo di colpa che grava sulla loro coscienza. Noi pecchia­mo in continuazione; e benché Gesù Cristo sia morto una volta per tutte per liberarci dal nostro debito di pena, tutta­via non siamo perdonati una volta per tutte, ma di volta in volta, tanto quanto imploriamo il perdono. Con la fede e la preghiera ce ne appropriamo, ma soltanto per il momento, e non per sempre. Torniamo a commettere colpe, e dobbiamo nuovamente pentirci e purificarci. Non possiamo, con un unico atto di fede, stabilirci definitivamente nel favore di Dio. Essere impazienti per ottenere una assoluzione definiti­va va oltre quanto egli ha disposto, dal momento che ci è richiesto di pregare non più che per il pane quotidiano.

Da questo punto di vista non siamo in condizione diversa dagli israeliti; e anche se,non offriamo sacrifici, né osservia­mo abluzione legali, pure abbiamo bisogno del rinnovo periodico di quelle grazie che erano un tempo in certa misura accordate dai riti mosaici; e benché otteniamo da Dio dei doni assai più eccellenti dei giudei e tramite ordinamenti più spirituali, pure necessitiamo tuttora di mezzi per avvicinarci a lui, e di mezzi continuamente a disposizione per conservar­ci in quella giustificazione nella quale ci ha posto il battesimo. Il testo ci rammenta questo. È rivolto a cristiani rigenerati; eppure la loro rigenerazione non li ha purificati una volta per tutte, e sono invitati ad aspergere il sangue di Cristo sulle loro coscienze, e a rinnovare (in un certo senso) il loro battesi­mo, e presentarsi così alla presenza dell’Onnipotente.

Cerchiamo ora di renderci conto di una verità, che pochi di noi penserebbero di contraddire a parole.
1. Consideriamo per prima cosa la nostra condizione, come ci è mostrata dalla Scrittura. Gesù Cristo non l’ha cam­biata, benché sia morto per noi; è rimasta quello che era dall’ inizio – come stato effettivo del genere umano. Abbiamo la natura di Adamo nello stesso senso e modo, come se la redenzione non fosse entrata nel mondo. Egli è venuto per il mondo intero, ma il mondo con questo non è cambiato per intero – tale cambiamento non è un’opera fatta e portata a termine in Cristo. Noi veniamo cambiati uno per uno; il gene­re umano è quello che è sempre stato: colpevole; quello che era prima che Cristo venisse; con le stesse passioni cattive, la stessa schiavitù del volere. La storia della redenzione, per essere pienamente tale, deve ricominciare con ciascuno di noi, e avere il suo svolgimento nella nostra vita. Non è un’o­pera compiutasi secoli prima che nascessimo. Non possiamo avvantaggiarci dell’opera di un Salvatore, sia pur il Figlio benedetto di Dio, così da essere salvi senza la nostra opera; siamo agenti morali, abbiamo una nostra volontà, e Cristo deve formarsi in noi, e portarci dalle tenebre alla luce, se il progetto della grazia divina, compiutosi sulla croce, deve essere per noi qualcosa di più che un nome e un privilegio abusato e sprecato. Perciò il mondo, visto con gli occhi di Dio, non può mai diventare più saggio e più illuminato di quanto sia stato. Non possiamo avvalerci delle penitenze dei nostri antenati. Abbiamo la stessa natura che l’uomo ha sempre avuto e dobbiamo cominciare dal punto dal quale l’uomo ha sempre cominciato, e operare la nostra salvezza nella stessa maniera, lenta e perseverante.

(1) Quando ciò è tenuto a mente, quanto la legge giudai­ca diventa importante per i cristiani! Importante in se stes­sa, al di là e al di sopra di tutti i rimandi che contiene e che preparano al Vangelo. Fino ad oggi assolve al suo compito originario di inculcare l’idea della grande colpevolezza e debolezza morale dell’uomo. Quei sacrifici e purificazioni legali ora aboliti, sono tuttora per noi la prova di un fatto che il Vangelo non ha annullato: la nostra corruzione. Non trascuriamo con eccessiva facilità il Levitico, colpire che con­tiene unicamente i riti ufficiali della nazione. Non lo si studi solamente con occhio critico, accontentandosi di raccordarlo in modo accuratamente sistematico con il Vangelo, come se il suo valore fosse ormai solo indiretto. No; esso parla a noi. Siamo noi forse migliori dei giudei? È forse la nostra natura meno incredula, sensuale o superba della loro? Certamente in tutti i tempi l’uomo è lo stesso essere, come anche i filoso­fi ci dicono. E se è così, quel minuto cerimoniale della legge ci presenta un quadro della nostra vita quotidiana. Ci testi­monia in modo impressionante il nostro continuo peccare, col suggerirsi che una espiazione ci è necessaria per tutte le più futili circostanze della nostra condotta. Ci testimonia che corriamo un grande pericolo, se procediamo senza attenzione e senza riflessione, confidando nel fatto di essere stati accettati a suo tempo; se confidiamo nel fatto di essere stati accettati tramite il battesimo; o (possiamo pensare) in quel certo momento in cui abbiamo avuto un pentimento; o (come possiamo illuderci) nello stesso momento della morte di Cristo (come se allora tutto il genere umano in una volta sola fosse stato realmente perdonato e risollevato). Peggio ancora, corriamo un serio pericolo se empiamente dubitia­mo che l’uomo sia mai incorso in una maledizione, e confi­diamo oziosamente nella misericordia di Dio, senza la per­cezione della vera miseria e della infinita pericolosità del peccato.

Considerate il rito del grande Giorno dell’espiazione, e vedrete quale fosse la colpevolezza degli israeliti, e quindi di rutto il genere umano, agli occhi di Dio. Il sommo sacerdote era assunto a rappresentare la persona più santa del mondo. La nazione stessa era santa più del resto del mondo; da es^a una santa tribù era stata scelta; da questa santa tribù, una santa famiglia; e da quella famiglia, una santa persona. Questi era il sommo sacerdote, che in tal modo veniva sepa­rato come il campione eletto di tutto il genere umano. Eppure, nemmeno a lui era permesso, sotto minaccia di morte, di avvicinarsi più di una volta all’anno al luogo della misericordia di Dio; non doveva presentarsi in paramenti sontuosi, né senza sacrifici per i peccati suoi e del popolo, sacrifici dei quali egli doveva recare con sé il sangue.

Oppure, considerate i sacrifici necessari secondo la Legge per il peccato di ignoranza; o ancora, per l’aver semplice­mente toccato qualcosa che la Legge dichiarava impuro; o per la lebbra, e imparate da qui quanto devono essere col­pevoli i nostri pensieri e atti ordinari, rappresentati come sono da queste trasgressioni negli aspetti esteriori del com­portamento. Gli israeliti non potevano offrire nemmeno il loro ringraziamento, senza un’offerta di sangue per purifi­carlo; perché la nostra corruzione non è unicamente in que­sto o in quell’atto, ma nella nostra natura.

(2) A parte la legge giudaica, si può osservare che nella stessa storia del peccato di Adamo Dio ci dice espressamen­te ciò che i riti legali implicavano, che cioè è la nostra stessa natura a essere peccaminosa. Di qui viene l’importanza della dottrina del peccato originale. È una dottrina che ci umilia, e per questo costituisce la sola vera introduzione alla predicazione del Vangelo. Gli uomini possono essere portati senza difficoltà ad ammettere di peccare, che cioè essi com­mettono peccato. Sanno bene di non essere perfetti; anzi, di non compiere nessuna cosa nel modo migliore. Ma non amano sentirsi dire di appartenere a una razza degenere. Persino gli indolenti diventano orgogliosi in questo. Pen­sano che, se non fanno il loro dovere, sia perché non vogliono, non perché non possono; amano credere (per quanto strana­mente, perché condannano se stessi, così credendo) di non avere bisogno di essere aiutati. Un uomo deve essere ben depravato e avere perduto persino quella falsa indipenden­za mentale che è spesso un surrogato della religione nello spingere ad agire, se, mentre vive in peccato, è soddisfatto di sostenere fermamente l’opinione di essere fatto per peccare. E ancor più l’uomo ingegnoso e attivo rifiuta di farsi con­vincere che, faccia quello che vuole, l’ombra della corruzio­ne si stende su tutte le sue azioni e immaginazioni. È noto quanto gli uomini si vergognino dei loro oscuri natali o delle loro screditevoli parentele. Ma questo è il tipo di ver­gogna che spetta a ogni discendente di Adamo. «Il tuo pro­genitore ha peccato»: questa è la massima impressa sulla nostra fronte, che persino il segno della croce non può far altro che sbiadire, ma non annientare. Questa è la nostra vergogna; ma lo dico qui, non tanto come un pensiero umi­liante, quanto nell’intento di imprimere sulla vostra co­scienza la necessità di presentarsi di fronte a Dio nei tempi prescritti, al fine di ripudiare la sempre rinnovata colpevo­lezza della nostra natura. Chi oserà camminare giorno dopo giorno senza impegno di preghiera, dimentico della santa comunione? Chi oserà parteciparvi, quando ogni giorno ci aggiunge un temibile peso, che discende spontaneo dalla nostra natura, ma da cui non possiamo liberarci senza un diretto e deliberato atto di fede nel grande sacrificio che è stato a ciò disposto?

(3) Inoltre, guardate dentro le vostre anime, fratelli miei, e osservate se potete trovare, almeno in parte, un riscontro alle verità della Scrittura che ho cercato di esporvi. Ram­mentatevi dei cattivi pensieri di vario genere che entrano come frecce nella vostra mente; sono per voi come delle prove della contaminazione e odiosità della vostra natura. È vero che essi provengono dal vostro avversario, il demonio; e il semplice fatto di farne esperienza non è di per sé miti prova di colpevolezza per voi, perché persino il Figlio di Dio, vostro Salvatore, soffrì tentazioni da essi. Ma vi sarà difficile negare che essi trovano in voi un così libero accesso e una così cordiale accoglienza, da dimostrare che satana vi tenta tramite la vostra stessa natura, non in contrasto con essa. E anche se il loro primo apparire fosse sempre un sopraggiungere dall’esterno, non li fate mai vostri? Non vi capita di intrattenerli? Oppure li scuotete via con impazien­za e indignazione? Anche se li rigettate, non rispondono all’intento di satana di incendiare la vostra mente in un istante, così da evidenziare che la materia di cui è composta è corruttibile? Per esempio, non indugiate nel pensiero della ricchezza e dell’opulenza fino a sentire il desiderio di questi beni temporali? O non vi permettete, sia pur per brevi momenti, di essere invidiosi, o scontenti, o irati, o curiosi, o impuri, o superbi? Ah! Chi può valutare l’impurità, anche di un solo giorno? Chi può valutare l’impurità di toccare quel corpo morto del peccato che deponiamo nel battesimo, ma che è legato a noi finché viviamo quaggiù, ed è lo stru­mento degli assalti del nostro nemico contro di noi? L’ombra della morte è su di noi, e noi verremo certamente uccisi dal molteplice contagio, se Dio non accondiscende giorno per giorno a purificarci.

2. Riflettete altresì sulle abitudini di peccato che abbiamo aggiunto alla nostra natura prima della conversione. È que­sta un’altra sorgente di contaminazione. Invece di tener sotto controllo gli elementi cattivi entro di noi, forse abbia­mo lasciato loro libero corso per anni; ed essi hanno prodotto veramente frutti di morte. Il peccato di Adamo si è accre­sciuto e moltiplicato in noi; ci fu un cambiamento, ma per il peggio, non per il meglio; e la nuova natura che abbiamo acquisito, lungi dall’essere spirituale, fu doppiamente parto infernale di quella con la quale nascemmo. Così quando, ad un certo punto, decidemmo di volgerci ad un miglior corso, a quale lavoro difficile ci siamo trovati di fronte, per disfarci di quello che eravamo! E per quanto a lungo abbiamo fatica­to a questo scopo, pure, quale quantità di peccato inconscio e inevitabile – il risultato delle vecchie abitudini trasgressive -affiora ogni giorno dal nostro cuore nello sforzo del pensare e dell’agire! Così, a causa dei peccati di gioventù, il potere della carne si rivolge contro di noi, come una seconda fonte di perversione, che va a unirsi con la malizia del demonio: satana dall’esterno; e il nostro cuore dall’interno, non mera­mente passivo e acceso dalle tentazioni, ma attivo neU’escogi­tare il male, e nel pronunciare a chiara voce improperi contro Dio – volenti o nolenti! Così il passato provoca lesioni attuali contro di noi; grosse contraddizioni si manifestano nel nostro carattere. È urgente la necessità di implorare conti­nuamente Dio di perdonarci i nostri peccati di un tempo, che ancora vivono nonostante il nostro pentimento, e che agisco­no vigorosamente contro le nostre migliori intenzioni, debol­mente influenzati da quel più giovane principio della fede con cui noi combattiamo contro di essi.

3. Considerate, inoltre, quanti peccati entrano – posso dire – necessariamente nella nostra obbedienza, data la nostra situazione: la situazione di non avere quella fede vigorosa e illuminata che ci consentirebbe di discernere accuratamente e di seguire fedelmente la via della vita. Il caso dei giudei esemplifica cosa intendo dire. Vi erano pre­cetti della perfetta legge divina che non erano fatti valere, nella previsione che i giudei non sarebbero stati in grado di recepirli come dovuto, o di renderli familiari in termini pra­tici alla loro mente, e di obbedirvi semplicemente e sincera­mente. Noi cristiani, con lo stesso cuore cattivo che avevano i giudei, e in maggioranza altrettanto poco educati alla san­tità del comportamento, abbiamo ciononostante una legge perfetta. Dobbiamo riconoscere e mettere in pratica tutti i precetti del Nuovo Testamento, anche se è ragionevole rite­nere che molti di essi sono, a conti fatti, assai al di là della comprensione della maggioranza di noi. Parlo di come stan­no effettivamente le cose, senza volermi chiedere perché e in dipendenza da quali circostanze sia piaciuto a Dio cambiare il suo modo di rapportarsi a noi. Ma così è; il ministro di Cristo deve insegnare al suo popolo peccatore l’obbedienza perfetta, e non sa come fare e come insistere, affinché certi precetti non siano fraintesi e fuorviati. Egli vede persone che agiscono per motivi e intenti molto terra-terra, e trova impossibile elevare d’improvviso la loro mente, per quanto chiare siano le sue affermazioni della verità. Sente che le loro buone opere dovrebbero essere compiute in un modo molto migliore. Vi sono innumerevoli piccole circostanze, quanto al loro modo di fare, che lo urtano, in quanto mo­strano scarsezza di fede, superstizione e grettezza mentale. Non può far altro che lasciar tali uomini a se stessi, con la speranza che un miglioramento di carattere generale faccia superare loro la presente infermità; ed è spesso perplesso se lodarli o biasimarli. Così è con tutti noi, sia sacerdoti che popolo; è così con il più avanzato dei cristiani mentre è in vita, e mentre Dio lo osserva. Quale sorgente di continuata contaminazione vi è qui! Non solamente l’omissione di ciò che potrebbe essere aggiunto alla nostra obbedienza, ma una causa di positiva offesa agli occhi della Eterna purezza! Chi non è dispiaciuto quando un uomo si dà ad una qual­che grande impresa che supera le sue capacità? Ed è forse una scusa per la sua miserevole prestazione il fatto che l’im­presa vada oltre le sue capacità? Ora, questo è il nostro caso; dobbiamo servire Dio con cuore perfetto – prestazione di alto profilo, alla quale i nostri peccati ci rendono inetti. E quando ne facciamo il tentativo, con tutto lo sforzo che è necessario, quanto miserevole tale tentativo appare agli occhi degli angeli! Quanto commiserabile la nostra esibizione! E quanto piena di pecche! Se, infatti, avessimo maggior­mente amato Dio con il cuore, e lo avessimo servito fin dalla giovinezza, la situazione non sarebbe per noi la stessa. La nostra vocazione come creature, e ancor più come figli adottivi di Dio e uomini liberi nella Chiesa, a causa del nostro peccato si ritorce a nostra vergogna; perché ci pone di fronte a doveri e all’esercizio di privilegi che sono supe­riori a noi. Ci è necessario tentare grandi cose con la certez­za di fallire; e così, mentre tentiamo, abbiamo continuamente bisogno di perdono per gli insuccessi del nostro tentare. Siamo di fronte a Dio come gli israeliti alla pasqua di Ezechia, che desideravano servire Dio secondo la Legge, ma non poterono farlo con accuratezza per ignoranza; e non possiamo far altro che offrire, tramite il nostro grande sommo sacerdote, il nostro zelo sincero invece che l’esatta obbedienza, come Ezechia fece per loro. «Il Signore che è buono perdoni chiunque abbia il cuore disposto a ricercare Dio, ossia il Signore Dio dei suoi padri, anche senza la puri­ficazione necessaria per il santuario»: cioè senza il pieno adempimento dei doveri del suo stato.

E se tali sono le carenze, persino del cristiano nel suo stato ordinario regolare, quanto grandi devono essere quelle del penitente che solo di recente ha iniziato a servire il Signore! O del giovane che si trova ancora sotto l’influsso di immaginazioni sbrigliate e la tirannia delle passioni! O dello spirito depresso, che satana stringe con i lacci dell’in­disposizione fisica, o sbatte qua e là nel tumulto del dubbio e dell’indecisione! Ahimè! Come la loro coscienza viene intorbidata dai pensieri e dalle parole di ogni secondo momento! E come è indicibilmente necessario, per loro, alleggerirsi del male che grava sul loro cuore, accostandosi a Dio con la forza rassicurante della fede, e lavando le loro colpe nell’espiazione per loro disposta!

Quanto sono venuto dicendo è un incitamento a voi, fra­telli miei, prima di ogni altra cosa, alla preghiera personale quotidiana. È ancora un incitamento a voi a partecipare alle liturgie della Chiesa, non soltanto una volta alla settimana, ma ogni qual volta ne abbiate la possibilità, ben sapendo che il vostro Redentore è specialmente presente dove due o tre sono riuniti assieme. Inoltre è ancora un incitamento a prendere parte alla celebrazione della Cena del Signore, nel corso della quale realmente e veramente otteniamo quella vita spirituale che è l’oggetto delle nostre preghiere giorna­liere. Il Corpo e Sangue di Cristo dà potere ed efficacia alla nostra fede e al nostro pentimento di ogni giorno. Considerate la Cena del Signore, il mezzo stabilito per l’ottenimento delle grandi benedizioni di cui avete bisogno. Le preghiere gior­naliere del cristiano sgorgano dall’eucaristia e la riflettono. Cristo morì in un tempo lontano: comunicando al suo sacra­mento, voi riattualizzate la sua morte; portate nel mezzo di voi stessi il sacrificio che ha tolto i peccati del mondo; vi appropriate del suo beneficio, assumendolo sotto le spe­cie del pane e del vino. Tali segni esteriori sono semplice­mente i mezzi per la grazia nascosta. Voi non vi aspettate che la vostra vita fisica si regga senza cibo; nei vostri inte­ressi spirituali siate altrettanto razionali che in quelli tempo­rali. Ritenete quegli elementi consacrati necessari, e parte della benedizione di Dio, per la vostra continua santificazione; accostatevi ad essi come alla salvezza delle vostre anime. Perché è più strano che Dio debba servirsi di mezzi per la salvezza dell’anima, di quanto egli debba disporli per la preservazione della vita fisica, come certamente ha fatto? E incredulità pensare che non faccia differenza, per il vostro benessere spirituale, il fare o non fare la comunione. E, peg­gio che incredulità, è totale insensibilità e ostinazione non discernere lo stato di morte e corruzione nel quale siete costantemente ripiombati, quando vi siete abbandonati a voi stessi. Ringraziate piuttosto Dio che, pur essendo peccatori, invece di lasciarvi unicamente la generale promessa, rivolta a tutti, di donarvi la vita nel Figlio suo, vi ha permesso di appropriarvi personalmente di quella promessa, dandovi così l’umile speranza di avervi eletti dal mondo alla salvez­za.

In tutto ciò che ho detto finora ho inteso rivolgermi a dei veri cristiani, che camminano nella via stretta e sperano di giungere al cielo. Questi però sono i “pochi”. Non ci sarà nessuno qui presente dei “molti” che camminano nella via larga, e hanno sulla testa il peso di tutti i loro peccati, dal battesimo in poi? O piuttosto, non è probabile che ci siano in questa assemblea persone che, pur mescolate al popolo di Dio, sono in realtà non perdonate, e se morissero ora, mori­rebbero nei loro peccati? Quelli che trascurano la comunione eucaristica si chiedano se non sia questa la loro condizione. Ciascuno di loro rifletta se, fra i segni dai quali è per noi possibile accertarci del nostro stato, ce ne sia, per la coscien­za di un uomo, uno più spaventoso del sapere che egli sta omettendo ciò che è voluto da Dio come il mezzo ordinario per la sua salvezza. Questo è un facile test sul quale nessuno si può ingannare. Ma gli sarà possibile anche un più accura­to esame. Costui si chieda se (come dice il testo) egli «si accosta a Dio con cuore sincero», cioè se, nonostante le pre­ghiere e gli altri atti di religione, non vi sia in lui una qual­che concupiscenza segreta e incontrastata, che renda la sua devozione una burla agli occhi di Dio e che lo trattenga nei suoi peccati. Si chieda se egli in realtà sia un incosciente che sembra religioso solo perché i suoi amici lo fanno sembrare tale; se sia sconsiderato e superficiale nella sua religiosità, inconsapevole della gravità delle sue colpe, e presuntuosa­mente fiducioso della sua pretesa innocenza e della miseri­cordia di Dio; se non sia un patito del guadagno, che obbedi­sce a Dio soltanto quando servirlo non interferisce con il ser­vire a mammona; se egli non sia rude e sgarbato, incapace di perdonare, di scusare, o superbo, autoritario e intrattabile; o se non sia succube delle mode passeggere del mondo, desi­deroso dell’amicizia dei grandi e di condividere le ricerca­tezze dell’alta società; o se non sia intento a speculazioni, che lo indispongono al pensiero del Salvatore, suo Dio.

Qualsiasi deliberata abitudine di peccato rende l’uomo incapace di ricevere i doni del Vangelo. Stati mentali come questi sono sintomi temibili dell’esistenza di un tale peccato inveterato nel cuore; e nella misura in cui rintracciamo que­sti sintomi nel nostro comportamento, dobbiamo temere di essere dei reprobi.

Accostiamoci dunque a Dio, tutti noi, confessando di non conoscere noi stessi, di essere più colpevoli di quanto pos­siamo renderci conto, e di poter soltanto timidamente sperare, ma non essere certi, di avere la vera fede. Troviamo conforto nel nostro essere ancora in stato di grazia, anche se non abbiamo un pegno sicuro della salvezza. Imploriamo Dio di illuminarci e confortarci; di perdonare tutti i nostri peccati, indicandoci quelli che non vediamo, e rendendoci capaci di superarli.

John Henry Newman, Sins of Ignorance and Weakness, PPS vol. I,7.

Fu predicato il 14 ottobre 1832.

Trad. italiana da: John Henry Newman. Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giusitificazione. Sermoni penitenziali. Trad. a cura di L. Chitarin, ESD, Bologna 2004, pp. 753-764.