La Chiesa e il mondo

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«Ora che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?» (Gal 4,9)

È una dottrina – com’è noto – ricorrente in S. Paolo e ne­gli altri autori sacri, che il Nuovo Testamento evangelico ha sostituito la Legge giudaica con tutti i suoi ordinamenti, e che nel battesimo i credenti, sia giudei che di tutte le genti, vengono riscattati per mezzo di Gesù Cristo da ogni ele­mento del mondo, compresa la Legge giudaica, che non ha quindi più potere su di loro. Questa dottrina di S. Paolo si trova nel testo nel quale rimprovera i Galati di voler tornare alla schiavitù del giudaismo, dopo aver conosciuto il Dio della grazia. Similmente ai Colossesi Paolo dice: «Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché vivete co­me se la vostra vita dipendesse ancora da certe regole im­poste da questo mondo?» (Col 2,20). E ai Romani: «Anche voi, me­diante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto al­la legge, per appartenere ad un altro, cioè a colui che fu ri­suscitato dai morti». E poco oltre: «Siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per ser­vire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera» (Rm 7,4.6). E ancora: «Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inuti­lità – la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore … La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all’umana debolezza, ma la parola del giuramento, posterio­re alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno» (Eb 7,18.19.28). E a conferma di questo, quando nostro Signore sulla croce emise lo spirito, il velo del Tempio si squarciò in due; perché la santità era appartenuta fino allora a quel Luogo Santo, ma da allora in poi non più.

Questa è la grande dottrina nella quale fu specialmente implicata la predicazione di S. Paolo, già prima che il Tempio venisse distrutto dai romani. Se vogliamo essere salvi, dob­biamo essere figli di Abramo, ma è la fede che ci rende tali; per essere eletti dobbiamo appartenere ad Israele, ma l’ele­zione segue la linea dell’Israele spirituale, la linea di Cristo, il Seme eletto, e la linea di coloro che vengono generati dallo Spirito di Cristo; è necessario, sì, appartenere alla Chiesa di Dio, tuttavia tale Chiesa non è più soltanto locale o di Geru­salemme, ma può trovarsi e realizzarsi in tutte le terre; è ne­cessario, sì, essere sotto la Legge, ma la Legge sotto la quale ci troviamo è la legge nuova o del Vangelo, non la legge della lettera, la legge di Mosè: «Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire» (Eb 7,18.19.28). La Legge di Mosé è dun­que venuta meno ed è cessata, perché Cristo è venuto.

Ora, a fronte di queste affermazioni, a volte viene posta la domanda: “Se le cose stanno così, se la legge giudaica è morta, come ha mai potuto essere viva? Se la legge ha mai avuto vigore, dev’essere stato da Dio, e quindi deve persi­stere. O non era da Dio, o non potrebbe decadere. O non fu mai viva, o non sarà mai morta. Come possono le disposizioni della legge essere quello di S. Paolo chiama ‘deboli e miserabili elementi,’ o ‘elementi del mondo,’ o ‘morti ordinamenti,’ se erano divini? E che fossero divini ce lo assicura sia l’Antico Testamento che il Nuovo”.

Questo è l’interrogativo al quale cercherò ora di dare risposta.

Il caso sembra stare in questi termini: Dio onnipotente, nella sua azione di grazia- a favore dell’uomo fin dall’inizio, non ha agito contro, ma attraverso gli ordinamenti del mondo. Ha reso portatrici della sua benedizione cose che in se stesse erano deboli e inutili; ma quando egli ritirò la sua benedizione, esse ritornarono nella loro debolezza. Le leggi e gli ordinamenti giudaici erano cose umane e terrene, rese divine dalla sua presenza per tutto il tempo della sua durata; quando egli la ritrasse, ritornarono quello che erano sempli­cemente in se stesse. Mi spiego meglio.

Intendo dire questo. Quando Dio volle formare un popo­lo perché fosse araldo del suo nome, non inviò sulla terra una stirpe di angeli, non creò dal nulla una società quale non si era mai vista, ma prese un clan di uomini della terra e vi infuse il suo Spirito, in modo che diventasse un tutto vivente. Certo il governo e la nazione giudaica furono per vari aspetti unici e diversi dalle nazioni vicine a loro; ma lo furono più nell’intento, cioè l’adorazione del vero Dio, che nei mezzi per promuoverla. Vari studiosi non credenti già da tempo si sono impegnati a mettere in evidenza che molte parti, se non il tutto, della legge e delle tradizioni mosaiche s»no reperibili presso altri popoli. Così, per esempio, il rito della circoncisione, che Dio consegnò ad Abramo, era prati-rato fra gli egiziani, e altrove. E lo stesso vale per molti dei riti e delle pratiche giudaiche. Allora con atteggiamento di disprezzo è stato detto: «Ecco, dopo tutto, il vostro popolo singolare; ecco a cosa si riduce la loro pretesa quanto ad una origine divina! Non vi è nulla di originale nel giudaismo; è tutto un derivato dagli egiziani e dagli altri popoli vicini -niente di divino». E hanno proceduto a considerare gli ebrei e il loro posto nella storia in una luce meramente secolaristica e con una buona dose di successo. Hanno mostrato che la nazione ha avuto la sua ascesa e il suo declino come le altre nazioni, sotto la spinta degli stessi principi politici e con il verificarsi di uguali avvenimenti. Hanno trattato il sorgere della monarchia come il naturale risultato delle cause in atto; e la rivolta delle tribù sotto Geroboamo come una ribellione naturale e giustificabile. Hanno parlato della ric­chezza degli ebrei, dei loro commerci, delle loro guerre, della loro agricoltura, tutto nella stessa maniera mondana, da liberi pensatori, come dicono loro, e con alquanta degna­zione e alterigia.

Ma in tutto questo hanno mancato di cogliere quella che è la vera peculiarità dell’ebraismo. Esso certamente per lo più si conformò al modello delle altre nazioni orientali; ma differì da esse, per quanto esteriormente fosse simile, per la diversità del suo principio interiore. Un invisibile Fattore divino era all’opera in esso, conferendogli un obbiettivo diverso da quello di ogni altra comunità politica, ed elevan­dolo a una finalità divina. Aveva un aspetto esteriore e uno interiore. Agli uomini di mondo sembrava una società del mondo; ma ai puri di cuore e a quanti avevano occhi per vedere, appariva per quello che realmente era, nella forma cioè del servo di Dio. Per uomini come Saul e Acaz era sol­tanto un regno terreno. Probabilmente essi non notavano niente di diverso, non percepivano alcuna differenza tra il Tempio di Gerusalemme e il tempio pagano a Gaza, o Ascalon, o la casa di Rimmon, o di Ashtarot, la dea dei Sidoni, tranne che forse quest’ultima era più di loro gusto, co­sì come l’altare fatto costruire a Damasco dal re Acaz. Non ‘, erano consapevoli di alcunché di speciale in Terra Santa, che non si trovasse anche in Siria o nella Filistea. I miracoli non erano così comuni come noi tendiamo a supporre. Guarda vano dunque a Gerusalemme, ai suoi sacerdoti, al suo tem­pio e alle sue cerimonie come gli uomini di mondo guarda­no alla Chiesa cattolica dei nostri giorni, come una mera struttura organizzativa.

Inoltre, essendo questo il beneplacito divino, ed essendo la società giudaica simile alle altre, e in se stessa, a parte la speciale presenza divina, un elemento del mondo, avrebbe avuto un inizio e una fine, un’ascesa e un declino. Tutti i regni e gli imperi giungono a termine, e il regno giudaico non diversamente, secondo la naturale evoluzione degli eventi. Questa è una circostanza che in modo speciale inganna il non credente, il quale pensa di vedere nell’insta­bilità e precarietà un segno che la nazione giudaica non era diversa dalle altre, e che non fu luogo e strumento della rivelazione divina. Egli pensa che l’inizio e la fine della nazione sia dovuta a cause naturali; e che avendo così, a suo modo, spiegato la sua storia, non ci sia bisogno d’altro; mentre, in verità, siamo di fronte ad una economia che è segno della presenza e non dell’assenza della Mano Divina, e benché la forma esteriore del giudaismo sia stata terrena, Dio l’aveva segretamente ispirata e usata per i suoi scopi.

Lo stesso avviene anche per il Cristianesimo. Da parte dei non credenti si è fatto molto per attribuire il suo sorgere a delle cause umane – come la disciplina della Chiesa, o la dottrina della vita futura -; da parte di taluni dei suoi difen­sori c’è stata altrettanta sollecitudine nel respingere tali attribuzioni. Sembra tuttavia di poca importanza che la questione venga chiusa in un modo o nell’altro; anzi, “a priori” è più probabile che le cause umane abbiano effettivamente prodotto ciò che ad esse è attribuito. I non cre­denti di oggi, che si professano liberi pensatori, parlano del cristianesimo come di un fatto certamente meraviglioso ella storia del mondo, un fatto comunque interamente umano. Ora non c’è da negare che sia umano, almeno tanto in quanto è visto dall’esterno. È un tesoro divino, ma in vasi d’argilla. La sua storia è quella dell’inizio di un impero universale, combattuto e contrastato; le sue conquiste furono realizzate con strumenti morali: «armi… non carnali»,(2 Cor 10,3) come dice S. Paolo, e però furono delle conquiste; legittimo è il paragone con i grandi imperi del mondo, con le conqui­ste di Nabucodonosor, o dei romani, fatte con la spada; o ancora, se ne può parlare come di una filosofia, e parago­narlo con le filosofie degli uomini. Ma se è un impero, se è una filosofia, come ha avuto la sua ascesa, così avrà anche il suo tramonto. Questo è ciò che profetizzano i non credenti. Aspettano calmi e fiduciosi la caduta a suo tempo del cri­stianesimo, per il solo motivo che è sorto. Poiché interpreta­no il suo inizio, si aspettano la sua fine; poiché il mondo c’è stato prima – così pensano – ci sarà anche dopo. Bene: se la Scrittura non si fosse impegnata ad assicurare che il cristia­nesimo durerà fino al ritorno di Cristo, non vedrei nulla di sorprendente, se dovesse cadere e altre religioni prendere il suo posto. Dio opera mediante mezzi umani. Come egli si serve di individui e li ispira, eppure muoiono; così, senza dubbio, può servirsi di un corpo sociale che un giorno, do­po una storia bimillenaria, potrebbe giungere alla sua fine. Potrebbe essere abolito, come altri doni di Dio che vengono sospesi, quando si abusa di loro. Senza dubbio il cristianesi­mo potrebbe essere tale; potrebbe essere destinato a spirare, come una persona umana. Anzi, può effettivamente essere proprio destinato a spirare così; può essere destinato ad invecchiare, a decadere, e in definitiva a morire; ma se non altro sappiamo che, quando morirà, il mondo morirà con lui. La durata del mondo è misurata da esso. Se la Chiesa muo­re, con essa finirà anche il tempo del mondo. Il mondo non esulterà mai sulla Chiesa. Se la Chiesa cade ammalata, il mondo dovrà gemere per la propria salvezza; perché, come Sansone, la Chiesa seppellirà tutto con sé. In questo senso può essere vero che la Chiesa cristiana può giungere a ter­mine, come è avvenuto per la Chiesa giudaica; cioè, in tanto in quanto essa è mortale, in tanto in quanto i suoi membri sono mortali.

Questa caratteristica della Provvidenza divina che è stata osservata ora è visibile nella stessa creazione dell’uomo. L’uomo fu reso prima corporeo e poi razionale. «Il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». (Gen 2,7) Vi sono qui due atti da parte del Creatore: il plasmare la polvere, e l’alitare la vita; e servono bene per illustrare il principio sul quale ho insistito. L’uomo si riconosce non poche conformità con gli altri animali; similitudini nello scheletro; somiglianza con alcuni di essi. E di conseguenza persone non credenti si sono fatte avanti a dire che l’uomo non differisce realmente dagli animali; e siccome è esterior­mente simile ad essi, e possiede un corpo organico, e può essere trattato dall’arte medica, come se fosse una struttura materiale, ed è obbligato a usare il cervello per pensare, di conseguenza non ha un’anima; proprio come, nei confronti del giudaismo, essi hanno negato che avesse in sé uno spiri­to superiore, per il fatto che aveva un corpo terreno.

Lo stesso avviene per i sacramenti del Vangelo. Dio non crea per noi degli strumenti nuovi e miracolosi con i quali comunicare i suoi benefici, ma prende e adotta dei mezzi già esistenti. Prende l’acqua che è già un mezzo naturale di salute e purità, e la consacra a comunicare la vita spirituale. Ne muta l’uso. Sceglie ancora il pane e il vino, i principali mezzi e simboli del nutrimento del corpo, li prende, li bene­dice; non li sequestra, ma li usa. Li lascia apparentemente quello che sono; ma li arricchisce di una presenza divina, che non avevano. Come Dio riempì con la sua gloria il Tempio ebraico di legno e pietre, nel giorno della consacrazione; e alitò il soffio della vita nella polvere della terra, e creò l’uomo; cosi egli scende con potenza sui simboli da lui scelti, per quanto deboli in se stessi, e li rende ciò che non erano.

Ora, da quanto si è detto, si può ricavare questo insegna­mento, – che le cose del mondo hanno valore tanto quanto la divina presenza che è in esse, tanto quanto egli ha alitato su di loro; in se stesse sono polvere e vanità. A ben pensare, è altrettanto mostruoso e folle innamorarsi di una qualsiasi cosa terrena, che non sia rischiarata da una luce dal cielo, quanto il desiderare di nutrirsi di cenere, o di essere incate­nati ad un cadavere.

Questo fu l’errore dei giudei, nei confronti della loro Legge; e questo è il motivo per cui S. Paolo parla di “morti ordinamenti”, “elementi del mondo”, “deboli e miserabili elementi”, “carnali” e “inutili”. A confronto del culto cristia­no, non erano mai stati nulla di più; ma furono specifica­mente tali dal momento in cui Dio li abbandonò. Il Vangelo riporta l’uomo ad un più alto livello di quello stesso stato da cui era decaduto. Quando Adamo era in paradiso, aveva un dono che poi non ebbe più: il dono dello Spirito; ospita­va in sé una gloria divina, un potere celestiale, che peccan­do perdette; dopo il peccato, gli rimase solo la sua anima naturale; e quando morì, anche quell’anima migrò. Il Van­gelo è dunque tanto superiore alla Legge, perfino nella sua condizione migliore, quanto lo spirito è superiore alla sem­plice anima, e l’uomo di Dio è superiore all’uomo naturale. Tale fu la Legge nella sua condizione migliore, essendo uni­camente un gradino verso il ripristino di quei privilegi nei quali l’uomo fu inizialmente creato; voluta da Dio, ma non abitata dello Spirito Santo di Dio; soltanto occasionalmente visitata da lui, e come dotata di una certa sua presenza san­tificante, che le dava vita. Ma quando Cristo venne con il riconquistato dono della grazia e della gloria, allora quella certa qual divina presenza, qualunque essa fosse, che era stata un tempo nella Legge, la lasciò; rimasta totalmente inanimata, ridotta alla mera condizione del mondo dal quale era stata tolta, ricadde nella necrosi e nell’inutilità di uno stato di cose decaduto e destinato alla morte; cosicché, per dei cristiani appropriarsene o farsene coinvolgere, come facevano i Galati e altri, diventava assurdo e perverso come qualsiasi altro modo di vendersi al mondo, nel giogo delle ambizioni o nella ricerca delle ricchezze. Ben poté dire l’Apostolo, secondo le parole del testo già riportato: «Ora che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?» (Gal 4,9).

Ora siamo in condizione di vedere anche quanto l’am­monimento di S. Paolo contro la soggezione a certi ordina­menti valga per noi. Dato per scontato che la nostra epoca non è né giudaizzante né corre il pericolo di diventarlo -non intendo con questo pronunciarmi sul giudaismo -, vi sono comunque altre realtà prive di vita oltre la Legge di Mosè, alle quali vi è pericolo di attaccare i nostri cuori. La Legge divenne carnale quando Dio la lasciò; ma vi sono cose che non furono mai altro che carnali, nelle quali Dio non ci fu assolutamente mai: e questo possono essere le nostre tentazioni, come la Legge giudaica fu una tentazione per i giudei. S. Giovanni dice espressamente: «Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo» (1 Gv 2, 15.16). E ancora: «Tutto il mondo giace in potere del maligno» (1 Gv 2,15.16). Il mondo può essere in un epoca un po’ migliore o un po’ peggiore che in un’altra, ma nella sostanza è sem­pre lo stesso. Il corso visibile delle cose nel suo complesso, nazioni, imperi, stati, ordinamenti, professioni, commerci, società, attività di ogni genere, è, non dico direttamente e for­malmente peccaminoso, ma viene dal male; le cose ne sono intrise, ne diventano uno strumento, ne riflettono la natura; sono progenie di Adamo peccatore, recano il tarlo del suo peccato; non sarebbero mai state come le vediamo, se Adamo non avesse peccato. Tutte e ciascuna di esse nel mondo sono in se stesse aliene da Dio, e devono essere inizialmente viste e trattate come tali; e benché, grazie a Dio, per la potenza del Vangelo, vi siano eccezioni a tale regola, e sia nostro dovere mirare a moltiplicarle, sarà tuttavia necessario accertare che siano tali, prima di poterle prendere per tali. Satana è il Dio di questo mondo. Dio creò tutte le cose buone; ma quando l’uomo cadde, un cattivo spirito se ne impossessò, ed esse sono cattive fino a che Dio non le tocca nuovamente con un raggio della sua luce. In Abramo egli stabilì un nuovo inizio e santificò un clan familiare, che divenne una nazione e que­sta fu santa per il Signore. Ma la massa decadde ed egli pre­servò un resto; e da esso egli ha propagato e diffuso ai quat­tro poli un regno rigenerato e spirituale, che è stato una benedizione sul mondo – solo però nella proporzione in cui le cose sono portate entro questo regno e sono finalizzate ad esso. Solo se re e principi, nobili e governatori, uomini d’af­fari e letterati, artisti, commercianti e lavoratori, si inchine­ranno alla Chiesa di Cristo, e (secondo le parole del profeta Isaia) «con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, e baceranno la polvere dei tuoi piedi», il mondo diventerà vivente e spirituale, nonché amabile e confortevole soggior­no per i cristiani.

Ora è chiaro quanto poco la massa degli uomini miri a prendere delle norme, o a cercare delle benedizioni per quello che fanno, dalla religione. Invece di sollevare il mondo con la fede al livello di figli di Dio, essi si abbassano al livello del mondo e dei suoi ordinamenti. È chiaro, come potrà riscontrare chiunque si dia la pena di accertarsene, che gli uomini in genere non offrono, né avvertono, né cer­cano motivi religiosi per il loro agire. La religione è così poco importante anche soltanto per l’esteriore professione del mondo d’oggi, che anche quelli che ne avvertono l’esi­genza non osano confessare i loro sentimenti, e non osano fa­re raccomandazioni di qualsiasi genere per motivi religiosi. Se difendono pubblicamente qualcosa, o fanno opera di per­suasione in privato, si sentono obbligati a nascondere o accantonare i motivi che si spererebbe li governassero, e ne adducono altri di inferiori, anzi mondani, – ragioni politiche, di convenienza, di senso comune (come viene chiamato), o di prudenza. Se trascurano di far così, sono disprezzati come incapaci di giudicare con equilibrio e irragionevoli. Anzi, sono obbligati a far così, altrimenti compromettono dei buoni obbiettivi – ma diciamo pure con maggiore pertinen­za, altrimenti getterebbero delle perle ai porci -. Possiamo avere una prova più chiara di questa, che il corso delle cose al presente, nonostante il suo vanto, è essenzialmente e radicalmente cattivo, tanto più cattivo proprio a conseguen­za del suo vanto?

O ancora, considerate i progetti e i sistemi in corso, – pro­getti a favore dei disagiati, o dei giovani, o della società nel suo complesso -; troverete che, lungi dal fondarsi sulla reli­gione, essa sembra un intralcio, un ingombro. I promotori e sostenitori di tali progetti affermano di non sapersene che fare della religione; i loro piani funzionano molto bene, tranne che per la religione; la religione crea difficoltà insupe­rabili. Su un tema di questo genere non è il caso di entrare nei dettagli; ma quelli che sanno guardarsi d’attorno capisco­no a cosa mi riferisco, e, penso, riconosceranno che è vero.

E così ancora, negli sforzi di conservazione, ambientale e non, che vengono lodevolmente compiuti, per impedire il diffondersi di danni e squilibri, si ha timore di prender posi­zione a partire dal «comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio» (1 Gv 2,7). Si ha timore di accendere il proprio fuoco all’altare di Dio; si teme di riconoscere colei tramite la quale soltanto si ottiene luce, forza e salvezza: la Madre dei santi.

Entrando nei particolari del vivere, la stessa verità, come in ogni epoca, ci si impone con forza e persuasività. Lascia­mo perdere la questione se questo nostro secolo sia migliore o peggiore dei precedenti; questo non ha importanza per il nostro tema. Il mondo sempre «giace in potere del maligno»; sennonché noi abbiamo l’abitudine di confessare sufficiente­mente le colpe delle epoche passate, che non ci riguardano; mentre invece non vediamo il male della nostra. Abbiamo quindi bisogno di qualcuno che ce lo ricordi. Abbiamo biso­gno che qualcuno ci rammenti che tutti i nostri progetti e attività non richiedono di essere provati collusi, ma sono certamente collusi senza essere provati tali, a meno che non possano dimostrarsi sani. A meno che quel santo e sopran­naturale influsso che promanò da Cristo quando alitò sugli Apostoli, e che essi tramandarono, e che da allora ha per­meato il mondo come un lievito, rinnovandolo nella giusti­zia – che ci raggiunse per la prima volta nel battesimo e ci riscattò dalla schiavitù di Satana -, a meno che questo dono divino sia stato coltivato e rafforzato in noi, e attraverso di noi diffuso sugli oggetti dei nostri intenti e delle nostre atti­vità, sui nostri progetti e occupazioni, parole e opere, certa­mente tutto ciò rimane un male, senza dover essere formal­mente provato come tale. Se lavoriamo nel commercio o in una professione, se facciamo affari, se coltiviamo amicizie, se ci sposiamo e ci sistemiamo, se educhiamo i figli, qualun­que cosa facciamo, non abbiamo il diritto di dare per scontato che tutto ciò non sia terreno, sensuale, e mondano; sarà tale senza preoccupazioni per noi, a meno che non ci preoccupia­mo in un altro modo, a meno che non ci sforziamo e preghia­mo che non sia così. Lasciata a se stessa, la natura umana tende alla morte, e dichiara la sua apostasia da Dio, per quan­to plausibile possa apparire all’esterno. Che cosa facevano gli uomini, prima del diluvio? Qualcosa di molto diverso da ciò che fanno gli uomini oggi? No; facevano le stesse cose che facciamo noi. «Mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano … compravano, vendevano, piantavano, costruivano» (Lc 17, 27-28). Sono queste cose cattive? Sì; sono cose catti­ve a meno che non siano buone; sono cattive a meno che non siano diventate buone; sono male fino a che Cristo non le santifica; e allora, e non prima di allora, sono bene. Sono male nel caso di ciascuno di noi, a meno che Cristo non le abbia santificate in noi, a meno che non siamo stati toccati dal dito di Dio, e illuminati dalla dottrina e dal potere del Figlio suo.

In tutte le cose, quindi, dobbiamo spiritualizzare il mondo; quanto al modo pratico, si può dire. Quando una nazione entra a far parte della Chiesa di Cristo, e prende sulle sue spalle il suo giogo, allora si unisce formalmente alla causa di Dio, e si separa dal male del mondo. Il magistrato civile che difende la fede cristiana, e la colloca in alto con tutti gli onori, come un faro per il mondo, con questo si dà a Dio e santifica e spiritualizza quella porzione del mondo sulla quale egli ha potere. Chi destina una parte dei suoi gua­dagni per il culto divino santifica quei guadagni. Il padre di famiglia che pratica la preghiera in famiglia e gli altri dove­ri religiosi, e dimostra, come Abramo, di essere determina­to, con l’aiuto di Dio, a onorarlo, si inserisce nel regno di Dio, e salva la sua casa dalla sua naturale relazione con questo mondo soggetto a vanità. Chi nella sua vita privata rispetta i tempi sacri offre a Dio dai doni di Dio, e santifica tutti i tempi con il sacrificio di alcuni di essi. Quando un uomo che è ricco, e ha il dovere dall’ospitalità, si dà anche pensiero di nutrire l’affamato e di vestire l’ignudo, allora santifica le sue ricchezze. Quando vive nell’abbondanza e osserva l’abnegazione, allora egli edifica la sua casa, ma edifica pure la Chiesa; quando pianta e semina, ma paga le decime; quando compra e vende, ma dà anche largamente per la religione; quando non fa nulla nel mondo senza esse­re sospettoso del mondo, essendo geloso di sé, mettendosi alla prova per timore di essere sedotto dal mondo, facendo sacrifici per provare il suo zelo: in tutti questi modi egli si circoncide dal mondo con la circoncisione di Cristo. Questa è la circoncisione del cuore e del distacco dal mondo. Questa è la liberazione dagli ordinamenti morti; e dato che, anche se ciò fosse fatto perfettamente, non sarebbe sufficien­te, perché è non meno necessario prendere le distanze dalla carnalità, tuttavia, almeno, è la vittoria su uno dei principali e più formidabili nemici.

Fratelli, questa non è una questione di parole: qualcosa da ascoltare senza troppa attenzione, perché la si è già ascoltata tante volte. La morte e risurrezione di Cristo è una costante chiamata a morire al tempo e a vivere per l’eterno. Non accontentatevi dello stato in cui vi trovate; non accontentate­vi della natura; accontentatevi solo della grazia. Guardatevi dall’accontentarvi di un modo troppo scadente di compiere i vostri doveri, e dal mirare a null’altro che a ciò che può esse­re facilmente realizzato. Pregate Dio che vi illumini con la conoscenza dell’entità esatta dei vostri doveri, e con una visione realistica del mondo. Guardatevi dalle seduzioni del mondo, che cercherà di persuadervi di essere razionale e sensibile, che la religione è un gran bene a suo modo, ma che noi siamo fatti per il mondo. E voi sarete certamente sedotti, a meno che sappiate vegliare e pregare per non entrare in tentazione. O sarete voi a conquistare il mondo, o il mondo vi conquisterà. Dovrete essere o padroni o schiavi. Schieratevi dunque, e «state saldi nella libertà per la quale Cristo vi ha liberati» (Cf Gal 5,1).

Bl. John Henry Newman Sermons on Subject of the Day. in italiano: Newman, Sermone su temi di attualità, Sermone VIII, in: EDS Bologna 2004, 103-116.