Chiamate Divine

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« Il Signore venne e si fermò e come le altre volte chiamò replicatamente: – Samuele, Samuele! – Samue­le rispose: – Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta» (1. Sam., 3, 10). Nella storia di Samuele abbiamo un caratteristico esempio della chiamata divina e delle dispo­sizioni con cui è nostro dovere di accoglierla. Samuele fu condotto nella casa del Signore quand’era ancora bam­bino; a tempo opportuno fu chiamato al ministero profe­tico e rispose con prontezza. Dio disse: « Samuele, Sa­muele!». Il ragazzo dapprima non riusciva a capire chi lo chiamasse né sapeva che cosa si volesse da lui, ma ebbe da Eli le opportune spiegazioni e quando il Signore ancora lo chiamò, rispose: « Parla, Signore, il tuo servo ti ascol­ta ». Ecco quel che si può chiamare una pronta obbedienza.

Assai differente nelle sue circostanze fu la vocazione di san Paolo, ma affine a quella di Samuele nella pronta risposta alla chiamata di Dio. Quando Saulo udì la voce che veniva dal cielo, tremante e attonito chiese: «Signore, cosa vuoi che io faccia? » (Atti, 9, 6).

Le stesse disposizioni di spirito troviamo anche espresse da Davide nel salmo XXVI: «A Te parla il mio cuore, Te cerca la mia faccia: il Tuo volto, o Signore, io cerco » (Sal., 26, 8).

L’atteggiamento rispecchiato negli esempi precedenti è comune a molti altri santi personaggi della Sacra Scrittura, come risulta sia dalle loro parole che dai loro atti. D’altra parte esso riceve una conferma negativa dal fatto che il testo sacro non riporta nessuna risposta da parte di coloro che potevano entrare nella «Vita eterna» e vi si rifiu­tarono. Leggiamo per esempio, nel caso degli apostoli, che, « camminando Gesù lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone chiamato poi Pietro e Andrea, che getta­vano in mare le reti perché erano pescatori. Disse loro: – Venite dietro a me e vi farò diventare pescatori di uomini. – Ed essi, lasciate le reti, immediatamente lo se­guirono » (Mt., 4, 18 ss.). Il vangelo di san Giovanni racconta: « Gesù volle andare in Galilea, e, trovato Filippo, gli disse: – Seguimi. Filippo poi, essendosi incontrato cori Natanaele, lo invitò così: – Vieni e vedi. Gesù vide ve­nirsi incontro Natanaele e parlando di lui disse: – Ecco un vero israelita nel quale non c’è malizia » ( Gv., 1, 43 ss. ). Al contrario, il giovane ricco declinò l’offerta di Gesù, tro­vandola troppo impegnativa: « ‘ Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e donalo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo ; poi vieni e seguimi ‘. Ma il giovane, udite que­ste parole, se ne andò contristato, perché aveva molti beni » (Mt., 19, 21 ss.).

Altri, che sembravano esitanti o che piuttosto doman­davano, mossi da sentimenti umani, un breve rinvio, fu­rono dal Signore rimandati, perché la loro obbedienza non era stata abbastanza pronta. Il tempo non aspetta nes­suno; la chiamata, una volta espressa, già è passata: se non la si coglie al momento opportuno, non si presenta più. Il Cristo andava via svelto verso il cielo, camminava sulla riva del mare di Galilea e passava oltre sènza fermarsi. O chi era chiamato lo seguiva, o egli avrebbe chiamato altri: «Disse poi Gesù ad un altro: – Seguimi. Quello rispose: – Signore, permettimi che io vada prima a sep­pellire mio padre. Ma Gesù gli replicò: – Lascia che i morti seppelliscano i morti, e tu vai ad annunziare il Re­gno di Dio. Un altro disse: – Signore, ti seguirò, ma permettimi prima di salutare quei di casa. Gesù gli rispose: – Chiunque, dopo aver messo la mano all’aratro, volge indietro lo sguardo, non è adatto al Regno di Dio » (Lc, 9, 59 ss.).

Giunti a questo punto potremmo osservare: « Cosa ci importa un argomento del genere? Noi siamo stati chia­mati da Dio fin dall’infanzia, prima che potessimo sce­gliere tra obbedienza e disobbedienza. Quando la nostra ragione incominciava appena a schiudersi, già eravamo stati chiamati alla salvezza, e, d’allora in poi, siamo sem­pre vissuti come cristiani, nel tempo della prova, perché sono stati i nostri stessi genitori, col battesimo, che ci han­no portati a Dio. Per noi la sua chiamata appartiene al passato e non già all’avvenire ».

In un certo senso è vero. Ma è anche vero che i passi del Vangelo citati ancora si applicano a noi, ci interes­sano e in molti modi possono ammonirci e farci da guida. Qualche breve considerazione potrà dimostrarlo.

In realtà non siamo chiamati una volta sola, ma molte volte: durante tutta la nostra vita il Cristo ci chiama. La prima volta nel battesimo; ma anche dopo, sia che ascol­tiamo la sua voce, sia che non l’ascoltiamo, egli continua ancora dolcemente a chiamarci. Se decadiamo dallo stato di grazia in cui il battesimo ci ha posti, egli ci chiama a penitenza; se ci sforziamo di rispondere alla nostra voca­zione di cristiani, egli ci chiama affinché abbiamo vita, di grazia in grazia, di perfezione in perfezione. Abramo fu chiamato dal suo clan, Pietro dalle sue reti, Matteo dal suo ufficio, Eliseo dai campi e Natanaele dal suo tranquillo rifugio. Tutti siamo in continuo stato di chiamata, sempre invitati ad avanzare verso il riposo eterno, obbedendo ad un comando, solo per vedercene imporre un altro. Ancora e sempre Dio ci chiama per renderci migliori, per darci maggiore santità e maggiore gloria.

Ottima cosa sarebbe se noi lo capissimo. Eppure sia­mo lenti a diventare padroni di questa grande verità, che il Cristo, cioè, come un tempo, anche oggi cammina tra noi e col gesto, con lo sguardo, con la parola, ci invita a seguirlo. Non ci accorgiamo che la chiamata ci viene ri­volta proprio adesso. Che Gesù chiamasse al tempo degli apostoli è chiaro. Ma si tratta purtroppo di una constata­zione che non mette in movimento la nostra fede, e non ci suggerisce nulla di applicabile alle circostanze presenti. Non siamo capaci di guardare in faccia Gesù, a differenza dei suoi apostoli affezionati che restarono accanto a lui anche quando gli altri discepoli lo abbandonarono.

Ecco il mio pensiero: chi vive una vita cristiana si in­contra necessariamente, di tanto in tanto, con verità che prima non conosceva o non aveva mai avuto il bisogno di avvicinare. Sono verità che implicano doveri, comandi, e a cui bisogna obbedire. È in questo e in altri simili modi che il Cristo ora ci chiama. Non c’è nulla di miracoloso o di eccezionale nel suo modo di agire, perché egli si serve delle nostre facoltà naturali e delle circostanze della vita le più svariate. Pure, quello che provvidenzialmente ci ac­cade ha per noi le medesime funzioni della parola che Gesù rivolgeva ai suoi contemporanei. Che egli comandi di persona o attraverso la coscienza di ciascuno, non importa: l’essenziale è che conosciamo la sua volontà.

Gli appelli di Dio sono di solito, conformemente al loro particolare carattere, altrettanto improvvisi, indefiniti e oscuri nelle conseguenze ora come un tempo. I casi della vita rappresentano, è chiaro, una particolare via, seguita dagli appelli divini per arrivare fino a noi. E come tutti sappiamo, implicano, col loro stesso nome di « casi », qual­cosa di improvviso e di inaspettato. Un uomo vive la sua vita normale: tornato a casa un giorno, trova una lettera, una comunicazione, una persona che gli annunzia una pro­va inattesa. Se la sa affrontare con fede, essa gli può dar modo di elevarsi ad un più alto grado di perfezione cri­stiana, di cui evidentemente, al momento, egli nulla com­prende, come nulla ad esempio comprenderebbe delle « ar­cane parole » udite da san Paolo in Paradiso (2 Cor., 12, 4). Per «prova» di solito si intende una circostanza che, affrontata convenientemente, può consolidare un uomo nella sua carriera; ma qui parlo di qualcosa di più: di una prova che non solo può confermare l’uomo, ma che lo innalza ad un più alto grado di conoscenza e di santità. Per non pochi è una vera e propria sorpresa, guardando alla vita trascorsa, il constatare quanto fossero diversi, in epoche differenti, i loro concetti sulle verità divine, sul modo di piacere a Dio, sul lecito e sull’illecito, sulla virtù e sulla felicità. Non è esagerato affermare che tali diffe­renze di punti di vista possono essere altrettanto grandi quanto quelle che verosimilmente esistevano fra lo stato d’animo di san Pietro quando pescava tranquillamente nel suo lago o di Eliseo quando conduceva i suoi bovi e il nuovo stato d’animo di ambedue, dopo la vocazione del­l’uno ad Apostolo e dell’altro a Profeta

Evidentemente non esistono vari modi di vedere le cose che siano tutti eccellenti nella stessa misura, anche se tutti contengono qualche elemento prezioso; anzi alcuni modi di vedere sono in contrasto tra loro e altri sono addirittura errati. Anche molti punti di vista, che di solito si reggono, sono validi solo in parte, o presentano delle imperfezioni o portano con sé parecchi elementi dannosi. L’ottimo in­somma è uno solo. Unica è la verità, quella assoluta; e quale sia, nessuno lo può capire, se non coloro che la pos­siedono, e spesso neppure essi. Ma Dio la conosce, la verità, ed al suo conseguimento egli ci conduce. Dio guida i re­denti, gli eletti, uno per uno e tutti contemporaneamente all’unica perfetta conoscenza e adorazione di Cristo.

A volte può essere attraverso la perdita di qualche caro amico o parente che la chiamata ci raggiunge, mostran­doci la vanità delle cose di quaggiù e invogliandoci ad affidarci a Dio solo. La Grazia ci rende capaci di ciò di cui mai saremmo stati capaci; e, dopo molti anni, guar­dando indietro alla vita trascorsa, troviamo che quella determinata sventura ci ha condotti ad un più alto grado di fede e di decisione e che siamo tutt’altri uomini da quelli di prima..

Forse accade qualcosa che ci obbliga a prendere par­tito pro o contro Dio. Il mondo ad esempio ci chiede di rinunciare a ciò a cui sappiamo di non dover rinunciare. Ci vien fatta una proposta allettante o ci si minaccia di rimprovero e di discredito, oppure siamo costretti a dichia­rare qual è la verità e quale l’errore. Può essere che in quel momento riusciamo ad agire secondo il volere di Dio: ep­pure lo facciamo con molta paura e pieni di perplessità.

Non riusciamo a veder bene qual è la strada buona, né ci è possibile prevedere quali saranno le conseguenze di ciò che abbiamo fatto e quale influenza potrà avere una deter­minata azione sulla nostra linea generale di condotta e sulle nostre opinioni: e pensare che potrebbe trattarsi di un atto di importanza decisiva ! Quel piccolo gesto, di cui d’improvviso abbiamo avvertito la necessità e che rapida­mente abbiamo deciso ed eseguito, può essere la via ad un più elevato grado di santità e ad una più esatta visione della vita.

Se siamo abituati a leggere la Scrittura con attenzione e ci sforziamo di fare la volontà di Dio, il senso della parola divina, in certi casi, ci si rivela improvvisamente, come mai era accaduto prima. Forse cogliamo un pensiero che spiega molte espressioni bibliche o suggerisce gran numero di altre idee, o nuova luce si fa sui precetti del Signore e degli apostoli. Diventa possibile allora capire la vita dei primi cristiani, quale è descritta nella Bibbia, e i semplici prin­cipi su cui essa era basata; diventa allora possibile capire quanto essa fosse diversa da quella di noi, uomini di oggi. Vale il principio che la conoscenza è un invito all’azione: uno sguardo alla via della santità può diventare una chia­mata alla santità stessa. Nulla è più certo, in realtà, del fatto che alcuni si sentono chiamati a compiti ed opere a cui altri non sono chiamati. Il perché di questo fenomeno ci è ignoto: forse coloro che non sono chiamati trascurano di ascoltare un nuovo appello, in base a precedenti insuc­cessi, o sono stati anche chiamati ma non hanno risposto; forse anche è Dio stesso che pur concedendo a tutti la grazia del battesimo, per libero atto di predilezione chiama alcuni a mete più alte di altri. Ad ogni modo, cosi è: l’uno vede qualcosa che l’altro non vede, ha una fede più vasta, un più ardente amore e maggiore comprensione spirituale. Nessuno può permettersi di scegliere un grado di santità inferiore a quello che gli è stato assegnato. Cosa siano gli altri, non deve importarci: se Dio ci chiama a più gravi ri­nunce nel mondo e chiede il sacrificio di speranze e timori, si tratta di un guadagno per noi, d’un segno della sua predi­lezione, di un fatto insomma che ci deve render felici. Non occorre aver timore dell’orgoglio spirituale quando si segue la chiamata di Cristo, purché la si segua con serietà. La serietà non perde tempo a far confronti con le condi­zioni altrui: ha troppo vivo il senso della propria debolezza per inorgoglirsi. Essa si accontenta di fare la volontà di Dio, dicendo semplicemente: « Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta » e « Signore, che cosa vuoi che io faccia? ». Aves­simo noi questo spirito, potessimo possedere questa semplice visione della realtà! Sapremmo allora che l’unica cosa necessaria è di piacere a Dio. « Secondo il tuo volere mi guidi, o Signore, e (poi) mi accoglierai con gloria. Cos’al­tro infatti c’è per me nel cielo? e fuori di te che cosa io voglio sulla terra? Vien meno la mia carne e il mio cuo­re; Dio del mio cuore e mia porzione è Dio in eterno»

estratto dal Sermone “Divine Calls” PPS VIII, 2, 17-32.

testo italiano da: Maturità christiana, ed. O. Karrer, Vita e Pensiero.