Pensieri del Cardinale Joseph Ratzinger (Papa Benedetto XVI) su John Henry Newman

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Si rivelò importante il fatto che come prefetto della sala di studio (non c’erano camere singole) ci venne assegnato un teologo da poco rientrato dalla prigionia inglese: Alfred Läpple, che in seguito avrebbe operato come pedagogo a Salisburgo e che sarebbe divenuto celebre come uno dei più fecondi scrittori religiosi del nostro tempo. Già prima della guerra aveva cominciato a lavorare a una dissertazione in teologia sull’idea di coscienza nel cardinal Newman con Theodor Steinbüchel, che allora insegnava teologia morale a Monaco; la sua presenza si rivelò per noi particolarmente stimolante grazie all’ampiezza delle sue conoscenze di storia della filosofia e al suo gusto per il dibattito (La mia vita, 43).

Ma, inteso nel senso giusto, un uomo che si pone in ascolto della coscienza, e per il quale ciò che ha così riconosciuto come bene sta al di sopra del consenso e dell’accettazione dei più, è per me davvero un ideale e un compito. E figure come Tommaso Moro, il Cardinale Newman e altri grandi testimoni – abbiamo i grandi perseguitati dal regime nazista, come per esempio Dietrich Bonhoeffer – sono per me dei veri modelli (Sale della Terra, 77).

Non metto in dubbio che nella mia vita ci siano stati dei cambiamenti, ma sono certo che questi cambiamenti e questa evoluzione siano avvenuti in una sostanziale identità e che io, proprio mediante questi cambiamenti, sia rimasto fedele a ciò che sempre mi è premuto. Su questo sono d’accordo con il cardinal Newman, quando dice che vivere significa cambiare e che ha molto vissuto chi è stato anche capace di cambiare (Sale della Terra, 134).

Newman ha esposto nell’idea dello sviluppo la propria esperienza personale d’una conversione mai conclusa, e così ci ha offerto l’interpretazione non solo del cammino della dottrina cristiana, ma anche della vita cristiana. Il segno caratteristico del grande dottore della Chiesa mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero. (L’Osservatore Romano, 15 maggio 2005, 6; Il testo completo
“Newman – uno dei grandi maestri della Chiesa”

Non esito a dire che la verità sta al centro della sua ricerca spirituale: la coscienza è centrale per lui perché lo è la verità. In altre parole: la centralità del concetto di coscienza in Newman deriva dalla centralità del concetto di verità, e solo in base ad essa si può comprendere. La dominanza dell’idea di coscienza non significa che Newman rappresenti una sorta di filosofia o teologia soggettivistica del XIX secolo, opposta alla neoscolastica “oggettivistica”. Certo, il soggetto trova in lui un’attenzione che nella teologia cattolica non aveva più conosciuto forse dal tempo di Agostino; ma è un attenzione nella linea di Agostino, non in quella della filosofia soggettivistica moderna. Quando fu eletto cardinale Newman confessò che la sua intera vita era stata una battaglia contro il liberalismo. Potremmo aggiungere: anche contro il soggettivismo cristiano che trovò nel movimento evangelico del suo tempo, benché questo gli avesse donato il primo stadio del suo continuo cammino di conversione (Cielo e terra. Riflessioni su politica e fede, p. 32).

Per lui coscienza non significa autodeterminazione del soggetto contro le pretese dell’autorità, in un mondo senza verità, che vive del compromesso fra le esigenze soggettive e quelle dell’ordine sociale. Significa piuttosto la presenza percepibile ed imperativa della voce della verità nel soggetto stesso: la coscienza è l’annullamento della soggettività nel contatto fra l’intimità dell’uomo e la verità venuta da Dio. È significativo il verso che scrisse nel 1833, in Sicilia: “Amavo andare per la mia strada, ma ora imploro: guidami!” La sua conversione al cattolicesimo non fu una questione di gusto personale, di bisogni spirituali soggettivi: ancora nel 1844, sulla soglia della conversione, diceva: “Nessuno può avere un’opinione peggiore della mia sullo stato attuale dei cattolici romani…”. Newman riteneva semmai di dover obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, anche contro i propri sentimenti ed i legami di amicizia e di lunga collaborazione. Mi sembra significativo che, in una lista delle virtù, egli sottolinei la preminenza della verità sulla bontà, o per dirlo in modo a noi più comprensibile: la preminenza della verità sul consenso, sull’accettabilità per il gruppo (Cielo e terra. Riflessioni su politica e fede, p. 32-33) .