Uomini non Angeli. I preti del Vangelo

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Quando Cristo, il gran profeta, il gran predica­tore, il gran missionario, venne in questo mondo, ci venne nella maniera più santa, più augusta, più luminosa. Venne a umiliarsi, venne a soffrire, nac­que in una stalla, fu adagiato in una mangiatoia; e al tempo stesso egli uscì alla luce dal grembo di una Madre immacolata, e la sua figura infantile ri­splendeva di una luce celestiale. La santità im­prontava ogni tratto della sua fisionomia, ogni cir­costanza della sua missione. Gabriele ne annunziò l’incarnazione; una Vergine lo concepì, una Ver­gine lo diede alla luce, una Vergine lo nutrì, padre putativo fu il puro e santo Giuseppe; gli angeli annunziarono la sua nascita, una stella luminosa ne sparse la notizia tra i pagani; l’austero Battista lo precedette; una folla di gente pentita e riabili­tata, dal vestito bianco e dal viso radiante di gra­zia, lo seguiva dovunque egli andasse. Come il sole in cielo splende tra le nuvole e si riflette sul pae­saggio, così il Sole eterno di giustizia, al suo sorgere sulla terra, mutò la notte in giorno, e nello splendore di lui tutto fu luminoso.

Egli venne, egli se ne andò; era venuto per in­trodurre nel mondo una legge nuova e definitiva, e perciò lasciò dietro di sé, al suo servizio, predica­tori, insegnanti, missionari. Allora, fratelli miei, voi direte, se alla sua venuta tutto intorno a lui fu così bello e glorioso, assente lui, i suoi servi, i suoi rappresentanti, i suoi ministri, debbono essere quale era lui: egli era senza peccato, ebbene tali debbono esser anch’essi; egli era Figlio di Dio, essi debbono essere senz’altro angeli; a questo alto uf­ficio, direte voi, non possono starci che angeli, sol­tanto gli angeli sono in grado di predicare la na­scita, le sofferenze, la morte di Dio. Veramente avrebbero essi dovuto nascondere il loro splen­dore, così come lui, che era loro signore e maestro, aveva già fatto, servendosi di un travestimento; potevano venire,  come  nell’Antico Testamento,  sotto le apparenze di uomini, e tuttavia uomini non potevano essere se dovevano essere predica­tori del Vangelo Eterno e dispensatori dei divini misteri di esso. Dovevano compiere l’atto sacrifi­cale come l’aveva compiuto lui; dovevano conti­nuare, ripetere, applicare lo stesso sacrificio che egli aveva offerto; dovevano prendere nelle pro­prie mani la stessa vittima, che era lui in persona; dovevano legare e sciogliere, benedire e interdire, ricevere le confessioni del suo popolo; insegnar ad esso la strada della verità, e guidarlo per il sentiero della pace. Chi poteva essere adatto a far tali cose se non un abitante di quei regni benedetti il cui Signore è la inesauribile luce?

Purtuttavia, fratelli miei, è un fatto che egli ha mandato quali ministri riconciliatori non angeli, ma uomini; ha mandato a predicare a voi gli stessi vostri fratelli, non esseri di natura sconosciuta e di sangue estraneo, ma persone fatte delle stesse vo­stre ossa e della stessa vostra carne. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?. » (At 1,11)

Ecco lo stile e il tono da re con cui gli angeli parlano agli uomini, anche se questi uomini sono apostoli; tono di chi, non avendo mai peccato, dall’alto della sua dignità sublime parla a uomini che hanno peccato. Non però questo è il tono di coloro che Cristo ha mandati; poiché le persone da lui designate sono vostri fratelli e nient’altro – fi­gli di Adamo, figli della vostra natura, uguali a voi per natura e diversi soltanto nella grazia – uo­mini, al pari di voi, esposti alle tentazioni, alle medesime tentazioni, alla medesima lotta interiore ed esteriore; con i medesimi tre nemici mortali: il mondo, la carne e il diavolo; con lo stesso ugual­mente volubile cuore: diverso soltanto perché la potenza di Dio lo ha mutato e lo governa. È un fatto così; noi che vi parliamo, non siamo angeli del cielo, ma uomini che una grazia e solo una grazia ha reso diversi da voi. Ascoltate l’Apostolo. Allorché i barbari Licaonesi, veduto il suo mira­colo, volevano offrir sacrifici a lui e a Barnaba, quasi fossero dei, egli saltò in mezzo a loro gri­dando: O là, perché fate questo? Anche noi siamo uomini, mortali come voi; oppure, con le parole dell’originale, che suonano più vigorose: « Noi abbiamo le stesse passioni che avete voi. » (At 14,14) E ai Co­rinzi scrive: « Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù. E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo. Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. » (2Cor 14,5-7) E più avanti, parlando di se medesimo, dice in modo meravi­glioso, « perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni » gli era stato dato lo sti­molo della sua carne, « un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. » (2Cor 12,7) Ecco quali sono i vostri ministri, i vostri predicatori, i vostri preti, o fratelli miei; non angeli, non santi, non senza peccato, ma per­sone che avrebbero vissuto e sarebbero morti nel peccato se non fosse stato per la grazia di Dio, e i quali, anche se per la misericordia di Dio si prepa­rano a essere, nell’altro  mondo,  compagni   dei santi, attualmente sono in mezzo alle infermità e alle tentazioni, e non hanno speranza di perseve­rare fino alla fine se non per l’immeritata grazia di Dio.

Che anomalia nuova, impressionante! Tutto è perfetto, tutto è divino, tutto è glorioso nella legge concessaci da Cristo, tranne però le persone dei suoi ministri. Sui nostri altari in una luce inacces­sibile, dimora egli stesso il Santissimo, l’Altissimo, e lì gli angeli gli si prostrano davanti; e tra le sostanze e forme visibili egli scéglie a rappresentarlo e conservarlo la più adatta. La più fina farina di grano e il vino più puro vengono presi per essere sue esterne apparenze; le parole più sacre e più maestose si adoperano per il rito sacrificale; l’al­tare e il santuario sono adornati decorosamente o anche splendi­damente, come lo permettono le no­stre possibilità; e i preti compiono il loro ufficio in paramenti appropriati, alzando al cielo cuori casti e mani sante. E tuttavia proprio questi preti, così privilegiati, così consacrati, proprio essi, con il loro cingolo di celibato e il loro manipolo di do­lore, sono figli di Adamo, figli di peccatori, di una natura rovinata della quale non si sono spogliati, anche se questa natura può essere rinnovata per mezzo della grazia, cosicché la caratteristica di un prete è per lo meno questa: che egli ha peccati an­che suoi per i quali offrire. « Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. » (Eb 5,1). Ed ecco perché nella messa, prima della Consacrazione, egli offre l’Ostia dicendo: «Suscipe sancte Pater, omnipotens, aeterne Deus: accetta o Padre santo, onnipotente, eterno Dio, quest’Ostia immacolata, che io, tuo indegno servo, offro a Te, mio vivo e vero Dio, per i miei innumerevoli peccati, offese e negligenze, e per tutti coloro che mi stanno attorno, e per tutti i fedeli cristiani, vivi e defunti».

Tutto ciò, fratelli miei, è in se stesso stranissimo, tanto più se noi conside­riamo che si tratta di un incarico dato da un Dio misericordiosissimo; che lui faccia così non è strano, e l’Apostolo ne spiega la ragione nel brano da me citato. I preti della nuova legge sono uomini, affinché possano «compatire con le nostre infermità, essendo anche loro provato in ogni cosa, a somiglianza di noi. » (cf. Eb 4,15) Se, fratelli miei, i vostri preti fossero angeli, non potrebbero partecipare al vostro dolore, né simpa­tizzare con voi; non avrebbero avuto compassione di voi, né avrebbero provato tenerezza per voi, né avrebbero trovato in voi delle attenuanti, cose tutte che noi possiamo fare; non avrebbero potuto servirvi da modello e da guida, non avrebbero po­tuto condurvi fuori di voi stessi e dentro una vita nuova, così come possono farlo coloro che ven­gono di mezzo a voi e che, a loro volta, sono stati guidati così come dovete esserlo voi; essi cono­scono bene le vostre difficoltà, hanno avuto, per lo meno, una esperienza delle vostre tentazioni, co­noscono la forza della carne e le astuzie del dia­volo, pur avendole sventate; si sentono già disposti a prendere le vostre parti, e ad essere indulgenti con voi; possono consigliarvi con molta espe­rienza, e ammonirvi a tempo debito e con pru­denza. Ecco perché Egli mandò a voi, quali mini­stri di riconciliazione e di intercessione, gli uomini; Egli stesso, pur non potendo peccare, nel di­ventare uomo, prese su di sé e sulla propria per­sona, fin dove a Dio era possibile, l’umano carico di infermità e di dolori. Egli non poteva essere un peccatore, ma poteva essere un uomo, e si dotò di un cuore umano affinché a noi fosse possibile affi­dargli i nostri cuori; e fu provato in tutto, come noi, «escluso il peccato. » (Eb 4,15)

Fratelli miei, ponderate bene questa verità e fate che diventi il vostro conforto. Tra i predica­tori, tra i preti del Vangelo ci sono stati gli apo­stoli, i martiri, i dottori, e in mezzo a loro ci sono stati santi in gran numero; ciò nonostante in mezzo a tutti loro, per quanto grande sia stata la loro santità, per quanto diverse le loro grazie, per quanto tremendi i loro doni, non ce n’è stato uno solo che non abbia cominciato con il vecchio Adamo; non uno solo di loro che non fosse rita­gliato dalla medesima roccia dalla quale è rita­gliato il più indurito reprobo; non uno solo di essi che non sia stato modellato, per un uso onorevole, con quella stessa creta che è servita a modellare il più corrotto e il più basso dei peccatori; non uno solo di essi che non sia, per natura, fratello di quelle povere anime, che hanno iniziato con un eterno consorzio con il diavolo e sono perdute nell’inferno. La grazia ha vinto la natura; ecco in­tera tutta la storia dei santi. Pensiero salutare per coloro che si sentirebbero la tentazione di vantarsi di ciò che fanno e di ciò che sono; annuncio mera­viglioso per coloro che, nei loro cuori, riconoscono, con dolore, l’enorme differenza esistente tra essi ed i santi; annuncio lieto per l’uomo che odia il peccato e desidera slegarsi dal triste giogo e pur si sente tentato a credere che ciò è impossibile!

Su, fratelli, guardiamo più da vicino questa ve­rità e serbiamola in cuore. Consideriamo in primo luogo che, da quando Adamo peccò, non c’è nessuno dei suoi figli che non sia stato concepito nel pec­cato: nessuno, eccetto uno. Vi è stata una ecce­zione – quale è questa eccezione? Non Nostro Si­gnore Gesù, perché egli non fu concepito da uomo ma dallo Spirito Santo; non voglio dire Nostro Si­gnore, la Vergine sua Madre, la quale, ancor­ché concepita e nata da genitori umani come gli altri, fu anticipatamente tratta in salvo fuori della condizione comune dell’umanità, e di fatto non fu mai partecipe della trasgressione di Adamo. Essa fu concepita naturalmente, come lo sono tutti gli altri; ma la grazia si intromise ed essa fu senza peccato prima del tempo; la grazia riempì la sua anima sin dal primo momento della sua esistenza, in modo che il maligno non alitò su di lei, né mac­chiò l’opera di Dio. Tota pulchra es, Maria; et macula originalis non est in te: «Tutta bella sei Maria, e il peccato originale non è in te». Ma all’infuori della benedetta Madre di Dio, tutti gli altri, il santo più glorioso e il peccatore più nero e più odioso, voglio dire, l’anima la quale in seguito di­venne la più luminosa, e quella che divenne la più diabolica, ambedue nacquero con quell’unico e medesimo peccato originale, ambedue furono fi­glie della collera, ambedue erano incapaci di con­quistare il paradiso con le forze naturali, ambedue avevano la loro aspettativa di meritare l’inferno.

Ambedue nacquero nel peccato; ambedue giac­quero nel peccato; e l’anima, la quale, dopo, di­ventò d’un santo, avrebbe continuato nel peccato, avrebbe peccato volontariamente, e si sarebbe dannata, se non vi fosse stato un immeritato in­flusso soprannaturale, che venne a far per lui quello che egli non poteva fare per se stesso. Il po­vero bimbo destinato ad essere un erede di gloria, giacque debole, malato, scontroso, capriccioso e infelice; figlio del dolore, senza speranza, senza ce­leste aiuto. Restò così per molti giorni lunghi e pe­santi prima di nascere; e quando finalmente aprì gli occhi e vide la luce, indietreggiò e pianse forte a vederla. Ma Dio ha udito dal cielo il suo grido in questa valle di lagrime, e ha dato inizio verso di lui a quella serie di misericordie che dalla terra lo hanno portato al paradiso. Dio mandò un suo prete a somministrargli il primo Sacramento e a battezzarlo con la sua grazia. Allora in lui si operò un gran cambiamento, poiché, invece di restar per sempre lo schiavo di Satana, divenne immediata­mente un figlio di Dio; e se fosse morto in quell’istante o prima di raggiungere l’età della ra­gione, sarebbe stato trasportato, senza indugio, da­gli angeli in paradiso, e così ammesso alla presenza di Dio.

Ma non morì; raggiunse l’età della ragione e, ahimè, possiamo noi dire – benché in alcuni casi benedetti lo possiamo – che egli non fece cattivo uso del grande talento datogli, che non profanò la grazia che era in lui, e non cadde nel peccato mor­tale? In alcuni casi, Dio sia lodato, questo pos­siamo affermarlo; sembra sia stato il caso del mio caro padre san Filippo, il quale, senza dubbio, conservò immacolata la sua veste battesimale, dal giorno in cui ne fu rivestito; e mai perdette il suo stato di grazia, dal giorno in cui vi entrò, e pro­gredì di virtù in virtù, di merito in merito, di glo­ria in gloria, durante tutto il periodo della sua lunga vita, finché all’età di ottant’anni fu chia­mato a render conto – ed egli vi andò con letizia – e sorvolando il purgatorio senza che quelle fiamme lo lambissero, fu trasportato direttamente in paradiso.

Talune volte il modo di procedere della grazia di Dio nelle anime dei suoi eletti è stato senza dubbio questo; più comunemente però, quasi per unirli più intimamente ai loro fratelli e far sì che la ricchezza dei favori prodigati a loro fosse mo­tivo di speranza e di incoraggiamento per il pecca­tore pentito, quelli che hanno finito con l’essere miracoli di santità ed eroi della Chiesa hanno tra­scorso un periodo nella disobbedienza più osti­nata, sono usciti fuori della luce che diffonde la presenza di Dio, sono stati tenuti prigionieri da questo peccato o da quel peccato, da questo o da quell’errore religioso, fino a che, chi in un modo e chi nell’altro, son guariti, lentamente o improvvi­samente, e hanno ricuperato lo stato di grazia o meglio uno stato superiore a quello perduto. Tale fu la beata Maddalena, la quale condusse vita di­sonorata; disonorata a tal punto che il solo fatto di essere toccato da lei costituiva, secondo il giudizio religioso di allora, una impurità. Felice in mezzo ai beni di questo mondo, giovane e ardente, essa aveva dato il suo cuore all’uomo, fino a che in lei vinse la grazia di Dio. Allora si tagliò i lunghi ca­pelli, smise il vistoso abbigliamento, e divenne così completamente diversa da quella che era stata, che se voi l’aveste conosciuta prima e dopo, avreste detto di aver visto due persone e non una sola; nella penitente infatti non vi era più traccia alcuna della peccatrice, se non il cuore affettuoso, che ora si era votato al paradiso e a Cristo; inoltre, nessuna traccia, nessun ricordo dell’antico aspetto brillante e seducente appariva nella figura mode­sta, nel contegno sereno, nell’andatura tranquilla e nella voce gentile di colei che nell’orto cercò e trovò il suo Salvatore risorto. Tale fu anche colui che da pubblicano divenne Apostolo ed Evangeli­sta: egli che per sordido lucro non sentì scrupolo di mettersi a servizio dei pagani romani e opprimere così il proprio popolo. Ma neppure il rima­nente degli apostoli fu creato con argilla migliore di quella con cui furono creati gli altri figli di Adamo; erano, per natura, animali, carnali, igno­ranti, in balìa di se stessi, tutti al pari dei bruti avrebbero strisciato per terra, la loro attenzione si sarebbe fissata alla terra, si sarebbero nutriti di terra, se la grazia di Dio non avesse preso possesso di loro, non li avesse rimessi in piedi e non avesse fatto levare il loro volto verso il cielo. Tale fu il dotto fariseo, che andò da Gesù di not­tetempo, superbo della sua posizione, geloso della sua reputazione, fiducioso nella sua ragione; se non che venne pure il momento in cui, nonostante la fuga dei discepoli, egli restò per ungere il corpo abbandonato di colui al cui gruppo, da vivo, tanto si era vergognato di appartenere. Vedete bene che fu la grazia di Dio a trionfare in Maddalena, in Matteo e in Niccodemo; la grazia celeste scese sulla natura corrotta; nella giovane donna domò l’impurità, nel pubblicano l’avarizia, nel fariseo il rispetto umano.

Permettetemi di parlare di un’altra celebre con­quista della grazia di Dio, negli anni che segui­rono, e vedrete come Dio si diverte a trarre fuori dal peccato e dall’eresia un confessore, un santo e un dottore della sua chiesa. Non bastava che il pa­dre della Scuola Occidentale, l’autore di tante opere, il trionfatore nella controversia, il campione unico della grazia, fosse stato già un povero schiavo della carne, doveva essere stato anche vit­tima di un intelletto depravato. Egli, che fra tutti gli altri aveva da esaltare la grazia di Dio, fu la­sciato più degli altri a sperimentare la debolezza della natura. Il grande sant’Agostino (non parlo del santo missionario omonimo, il quale venne in Inghilterra e convertì i nostri antenati pagani e di­venne il primo arcivescovo di Canterbury, ma del grande vescovo africano, di due secoli prima), Agostino, dico, non pensando seriamente alla sua anima, né chiedendosi in che modo il peccato po­teva essere lavato, ma desideroso, mentre ancora durava la gioventù e la forza, di godersi la carne e il mondo, ambizioso e sensuale, giudicava la verità e la falsità secondo un suo punto di vista e se­condo una sua personale immaginazione; disprez­zava la Chiesa cattolica per il troppo suo parlare di fede e di sottomissione; pensava di fare della pro­pria ragione la misura di tutte le cose e così fu che si associò a una setta assai diffusa la quale aveva la pretesa di essere filosofica e illuministica, per avere sul mondo più larghe vedute, e correggere quelle volgari, vale a dire le nozioni cattoliche su Dio e su Cristo, sul peccato e sulla strada che porta al paradiso. In questa tal setta egli rimase alcuni anni; tuttavia quello che ivi apprese, non lo soddi­sfece. Per un certo tempo gli piacque, e poi gli parve come di aver mangiato un cibo privo di so­stanze nutrienti; aveva fame e sete di qualcosa di più sostanzioso, non sapeva di che, si disprezzava a trovarsi schiavo della carne e capiva che la sua re­ligione non lo aiutava a trionfare su di essa; si av­vide pertanto di non aver raggiunta la verità ed esclamò: « Oh, chi mi dirà dove cercarla e chi mi ci farà entrare? ».

Perché non fece subito parte della Chiesa catto­lica? Vi ho detto il perché; egli non vedeva la ve­rità altrove, ma non era sicuro che fosse lì. Gli pa­reva che in quel sistema dottrinale vi fosse un certo non so che di meschino, di limitato, di irra­zionale; gli mancava il dono della fede. Allora dentro di lui si iniziò una grande lotta – la lotta della natura con la grazia; della natura e dei figli di essa, la carne e la falsa ragione, contro la co­scienza e gli inviti dello Spirito divino che lo gui­davano verso cose migliori. Sebbene ancora in stato di perdizione, Dio lo visitava e gli dava i primi frutti di quegli influssi che dovevano in se­guito trarlo fuori da quello stato. Il tempo passava, e voi osservandolo come poteva osservarlo il suo angelo custode, avreste detto che, nonostante la molta perversità e le molte fortunate battaglie contro quel suo valido avversario, nonostante che fosse ancora come prima in uno stato di esaspera­zione, la grazia si faceva strada nella sua anima – egli s’incamminava verso la Chiesa. Non lo sapeva nemmeno lui, non poteva accorgersene; ma un in­teresse più ardente per lui, seguito da una gioia, nasceva in paradiso tra gli angeli di Dio. Final­mente egli si trovò nell’alone di un grande santo, in terra straniera; e, sebbene ostentasse di non ri­conoscerlo tale, la sua attenzione ne fu attratta, e non poté astenersi dal frequentare luoghi sacri per poterlo mirare e rimirare. Cominciò con l’osser­varlo e meditarci sopra, chiedendosi se egli era fe­lice. Si provò a frequentare la chiesa per ascoltare il santo predicatore, e una volta gli chiese come poter trovare quello che cercava. Ed ecco che in lui si scatena la lotta finale con la carne: era duro, molto duro, separarsi da vizi che duravano da anni, era duro separarsene e non incontrarsi mai più con essi. Oh, il peccato era tanto dolce, come poteva dirgli addio? come riuscire a strapparsi al suo abbraccio, per mettersi in quella strada solita­ria e dolorosa che portava verso il paradiso? Ma la grazia di Dio era di gran lunga più dolce, e vin­cendo su di lui lo convinse; convinse la sua ra­gione, e prevalse; – e colui che senza di essa sa­rebbe vissuto e poi morto figlio di Satana, di­venne, sotto l’azione della sua potenza miracolosa, un oracolo di santità e di verità.

Ora non credete, fratelli miei, che egli fosse più adatto di un altro a persuadere il suo prossimo, proprio perché era stato persu­aso anche lui, e a predicare la santa dottrina, proprio perché un tempo, questa stessa dottrina lui l’aveva disprez­zata? Non che il peccato sia migliore dell’obbe­dienza, o il peccatore migliore del giusto; ma Dio nella sua misericordia si serve del peccato per combattere il peccato; Egli tramuta il peccato che fu in un beneficio che resta, e mentre ne lava via la colpa e ne vince il potere, lo lascia nel penitente, nel senso di rendere questi capace, non ap­pena ne riconosca gli artefici, di assalirlo con mag­gior vigore, e colpirlo con maggior lealtà quando lo incontrasse in altri uomini; perché Nostro Si­gnore, mentre con la sua grazia onnipotente può far sì che l’anima sia immacolata come se non fosse mai stata macchiata, lascia in lei una tenerezza e compassione per gli altri peccatori, e una espe­rienza sul modo di trattar con loro, che non sa­rebbe davvero più grande se essa non avesse mai peccato; e inoltre, in quei rari e particolari esempi, di uno dei quali vi ho ora parlato, Egli ci mostra, per nostra istruzione e per nostro conforto, quanto Egli può fare anche con i maggiori peccatori, se vanno a lui sinceramente per essere perdonati e guariti. Non esiste limite alla generosità e alla po­tenza della grazia di Dio; e il sentire dolore per i nostri peccati, e il supplicare la sua misericordia, rappresenta per noi nei nostri cuori una specie di immediata garanzia che egli ci accorderà i doni che noi cerchiamo. Egli può fare dell’anima dell’uomo ciò che vuole. Egli è infinitamente più potente dello spirito immondo al quale si è ven­duto il peccatore, e può cacciarlo fuori.

O fratelli miei cari, benché la vostra coscienza testimoni contro di voi, egli può alleviarvi; sia il vostro peccato maggiore o minore, egli può ren­dervi puri e graditi alla sua presenza come se non vi foste mai allontanati da lui. A poco a poco egli distruggerà le vostre abitudini di peccato e quanto prima vi riporterà a godere del suo favore. Il po­tere del sacramento della penitenza è tale, che, per quanto il vostro fardello di colpa possa essere più o meno pesante, egli lo toglie, qualunque esso sia. Per lui è facile lavare i molti peccati come i pochi. Rammentate nell’Antico Testamento, la storia della guarigione di Naaman il siro, operata dal profeta Eliseo? Egli aveva quella tremenda, incu­rabile malattia detta lebbra, consistente di una crosta bianca sulla pelle, la quale rende schifosa tutta la persona, ed è simbolo della bruttezza del peccato. Il profeta gli ordinò di bagnarsi nel fiume Giordano, e la malattia scomparve; «la sua carne» dice l’ispirato scrittore «ritornò quella di un bam­bino». Dunque abbiamo qui una descrizione di quello che è il peccato, di quello che è la grazia di Dio. La grazia può annullare il passato, può realiz­zare l’insperabile. Nessun peccatore, per quanto odioso, che non possa diventare un santo; nessun santo, per quanto in alto, che non sia stato o non potrebbe essere stato un peccatore. La grazia vince la natura, e non c’è che la grazia a vincerla. Pren­dete quella santa ragazza, la benedetta santa Agnese, la quale, all’età di tredici anni, decise di morire piuttosto che rinnegare la fede; restò tutta avvolta in un’atmosfera di purezza e diffuse at­torno un influsso celestiale, proprio nella casa de­gli spiriti cattivi dove il pagano l’aveva condotta; oppure considerate l’angelico Luigi, del quale si ricorda a malapena che abbia commesso un pec­cato veniale; oppure sant’Agata, santa Giuliana, santa Rosa, san Casimiro, o anche santo Stanislao, per il quale la semplice nozione di una fantasia sconveniente era come la morte; ebbene, non c’è una sola di queste anime serafiche che, senza la grazia di Dio, non avrebbe potuto essere un’anima degradata, come la lebbra ripugnante, cioè un ripudiato dai suoi simili; non una sola poteva, o meglio avrebbe potuto, non vivere la vita di un essere bestiale e non morire della morte di un reprobo, ed essere condannato a restare eternamente giù nell’inferno tra le braccia del diavolo, se Dio non le avesse posto dentro un cuore nuovo e uno spi­rito nuovo, e non avesse fatto di essa quello che essa da sé non sarebbe riuscita a fare.

Tutti gli uomini buoni non sono dei santi, fra­telli miei – tutte le anime convertite non diven­tano dei santi. Non vi prometto che qualora voi vi convertiate in Dio, raggiungerete quella vetta di santità raggiunta dai santi – è vero; tuttavia, vi mostro che persino i santi non sono per natura mi­gliori di noi; e così (molto di più) i preti, i quali devono occuparsi del fedele, qualunque sia la loro santità, per natura non sono migliori di quelli che essi devono convertire, che essi devono riformare. È una misericordia particolare di Dio verso di voi, se noi per natura non siamo diversi da voi; è sua considerazione e compassione per voi, se egli ha fatto di noi, vostri fratelli, i suoi legati e ministri di riconciliazione.

Questo è quello che il mondo non riesce a ca­pire; non che non veda abbastanza chiaramente come noi siamo per natura fatti con le sue mede­sime passioni; ma questo mondo è così cieco, così ristretto di mente da non capire che pur essendo noi così simili a lui per natura, possiamo in virtù della grazia essere divenuti tanto diversi. Gli uo­mini del mondo, fratelli miei, sanno quale potenza ha la natura; ma non conoscono, non hanno esperienza, non credono nella potenza della grazia di­vina, e dal momento che non conoscono potenza alcuna capace di trionfare sulla natura, pensano che non ne esista nessuna, e perciò, di conse­guenza, credono che tutti, preti e non preti, re­stano sino alla fine come li ha fatti la natura, e non riterranno mai possibile che si possa vivere di una vita soprannaturale. Ora, non soltanto i preti, ma chiunque si trova nella grazia di Dio, conduce una vita soprannaturale, chi più chi meno, a seconda della propria vocazione, a se­conda della grandezza dei doni ricevuti e della propria corrispondenza a questi doni. Tutto ciò essi lo ignorano e quindi non l’ammettono; e allor­ché sentono parlare della vita che un prete, per la sua particolare vocazione, deve condurre sempre, dalla gioventù sino alla vecchiaia, non crederanno mai che egli sia quale dichiara di essere. Non sanno nulla della presenza di Dio, dei meriti di Cristo, della intercessione della Beata Vergine, del potere della preghiera, della confessione fre­quente, della messa quotidiana; tutti sono estranei – al potere trasformante del Santissimo Sacramento, Pane degli Angeli; tutti, per assicurare l’anima contro il male, non meditano sulla efficacia che hanno le regole sane, i compagni santi, l’abitudine della pazienza, la pronta spontanea vigilanza, l’or­rore del peccato e lo sdegno contro il tentatore. Loro sanno soltanto che quando il tentatore è una volta, realmente, penetrato nel cuore, è irresisti­bile; sanno soltanto che una volta che l’anima si sia esposta e arresa alla propria malizia, sorge (per così dire) una necessità di peccato. Sanno soltanto che quando Dio ha abbandonato questa anima, e gli angeli buoni ne sono usciti, e viene trascurata ogni difesa, protezione e misura precauzionale, al­lora (è il caso loro personale), quando la vittoria è tutto fuorché già ottenuta, è certo che si è già vinta definitivamente. Essi stessi, sempre, anche nel migliore dei casi, non hanno fatto altro che es­sere vinti dal Maligno prima di cominciare a com­battere; ecco la sola situazione da loro sperimen­tata; sanno questo, e non sanno altro. Non si sono mai trovati in posizione vantaggiosa; non si sono mai trovati tra le mura di una piazzaforte, intorno alla quale il nemico invano si aggira, ma nella quale non può penetrare, e fuori della quale l’anima fedele è troppo saggia per avventurarsi. Quanti giudicano, io dico, dalla loro esperienza, non crederanno quello che non hanno mai pro­vato.

Se tra i presenti, fratelli miei, ci fossero di quelli i quali non riescono a credere che la grazia sia effi­cace all’interno della Chiesa, dato che all’esterno essa può ben poco, io non parlo a loro: parlo a co­loro che non limitano la loro fede alla loro espe­rienza; parlo a coloro i quali ammettono che la grazia può fare della natura umana quel che essa non è; e persone tali, credo, non troveranno mo­tivo di gelosia o di sospetto, ma vedranno un grande vantaggio, una grande misericordia nel fatto che siano mandati a predicare fra loro, a rice­vere le loro confessioni, a consigliarli, persone tali che possano com­prendere i loro peccati, quand’anche non li abbiano di fatto conosciuti. Fratelli miei, non una tentazione può cogliervi che non sia di quelle che colgono tutti coloro che par­tecipano della vostra natura, anche se voi abbiate ceduto ed essi invece non hanno ceduto. Saranno tanto più teneri verso di voi, essi vi «istruiranno con animo benigno» come dice l’Apostolo « consi­derando che anche loro stessi possono essere ten­tati. » (Gal 6,1). Venite dunque da noi, tutti voi che faticate e siete gravati dal peso, e noi troveremo un riposo per le vostre anime; venite da noi che stiamo da­vanti a voi al servizio di Cristo, e che parliamo nel nome di Cristo; poiché anche noi al pari di voi siamo stati salvati dal sangue di Cristo, che salva ogni cosa, poiché anche noi, al pari di voi, sa­remmo stati peccatori perduti se Cristo non avesse avuto misericordia di noi, se la sua grazia non ci avesse mondati, se la sua Chiesa non ci avesse ac­colti, se i suoi santi non avessero interceduto per noi. Siate dunque salvi, così come lo fummo noi; « Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. » (Sal 66,16) Date ascolto alla nostra testimonianza; osservate la gioia del nostro cuore e accrescetela, acqui­standola anche voi. Scegliete quella porzione buona che abbiamo scelta noi; unitevi anche voi alla nostra compagnia; non ve ne pentirete mai, ve ne diamo la nostra parola, noi che abbiamo diritto a parlare, non vi pentirete mai di aver chiesto per­dono e pace alla Chiesa cattolica, la sola ad avere grazia, la sola ad avere potenza, la sola ad avere santi; non ve ne pentirete mai, anche se dovrete passare attraverso guai, anche se dovrete rinun­ziare a molte cose per causa di essa. Non vi pentirete mai di essere passati dalle ombre del senso e del tempo, dagli inganni del sentimento umano e dalla falsa ragione, alla splendida libertà dei figli di Dio.

Oh fratelli miei, quando avrete fatto il gran passo e vi troverete nella beata situazione di pec­catore riconciliato col Padre da voi offeso (così prevengo quanto – ne ho piena e intera fiducia – si avvererà in molti di voi), oh, allora non dimenti­cate coloro che sono stati ministri della vostra riconciliazione; e come essi vi pregano ora di fare pace con Dio, così voi, quando sarete riconciliati, pregate per loro, affinché essi conseguano il grande dono della perseveranza, e possano conti­nuare a stare in quella grazia nella quale sperano di trovarsi ora, fino all’ora della morte, affinché non avvenga che, dopo aver predicato ad altri, di­ventino essi stessi dei reprobi.