La grazia che attira

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In due modi particolarmente la grazia divina si mani­festa nel cuore umano: ce ne parlano sia la Scrittura che la storia della Chiesa, sia nel caso di santi veri e propri, che in quello di persone avanzate nella vita spirituale. Anche fra gli apostoli del Signore, in Pietro e Giovanni, i personaggi più eminenti di questo gruppo privilegiato, possiamo osservare le due fondamentali direzioni secondo cui agisce la grazia: Giovanni è il santo della purezza, Pietro il santo dell’amore. Non è che amore .e purezza possano mai essere separati e neppure che un santo non possegga tutte quante le virtù: non è che san Pietro non fosse altrettanto puro quanto pieno di amore, o che san Giovanni non amasse in ragione diretta della sua gran­de purezza. I doni dello Spirito non possono venir scissi, perché ciascuno di essi presuppone tutti gli altri. Cos’è l’amore se non dilettarsi in Dio, dedicarsi a lui, donan­dogli tutto il proprio essere? E l’impurità, per contro, non sta forse unicamente nel rivolgersi a qualcosa di mondano, di peccaminoso, che sostituiamo a Dio come oggetto dei nostri affetti? Chi non è puro non può amare Iddio, e nello stesso tempo, chi non ha amore di Dio non può essere puro davvero.  La purezza predispone l’anima all’amore, e questo stesso amore la rinsalda nella purezza.

Ci sono dei santi che in modo meraviglioso e talvolta anche miracoloso sono stati difesi dal peccato e condotti di conquista in conquista dall’infanzia fino alla morte. Ma dobbiamo pur dire che Dio vuole riversare la luce e la po­tenza del suo Spirito anche su uomini che fino ad un dato momento hanno fatto pessimo uso delle proprie doti e sof­focato la grazia da lui ricevuta: una legione di demoni li possiede da cui devono essere liberati; sono dominati da abitudini inveterate, da passioni sempre soddisfatte, e da errate opinioni. Si tratta di uomini che hanno servito Sa­tana, non come può accadere per i bambini prima del bat­tesimo, ma facendo uso della volontà e della ragione, con la piena responsabilità di un agire vivo e cosciente. Quando Dio sceglie uno di questi, come lo attira a sé? Indipenden­temente dalla collaborazione del soggetto, o servendosi ap­punto di essa? Dio, senza dubbio, potrebbe comportarsi da padrone con i suoi eletti, prenderne possesso con sopranna­turale violenza e trasformarli di colpo in santi, lasciando da parte una graduale conversione. Egli può « anche dalle pietre suscitare figli ad Abramo» (Mt. 3, 9). Eppure Dio ha disposto diversamente: perché infatti, se così non fosse, sarebbe egli stesso disceso in terra, perché avrebbe dotato la sua venuta di tanti aspetti capaci di commuo­vere, di attrarre e di sottomettere? Quando le anime erra­no lontane da lui, egli le richiama a sé servendosi proprio di loro medesime, « con attrattive piene di umanità » (Os., 11, 4), come dice il profeta Osea. Dio ci conquista unica­mente per sua iniziativa, eppure sempre per mezzo di noi stessi, in modo che la ragione ed il cuore del vecchio Ada­mo, già rese « armi di ingiustizia per il peccato », divengano, sotto l’impulso della grazia, «per Iddio, armi di giustizia» (Rom., 6, 13).

Senza dubbio è così. Dio ci chiama a sé con « attrat­tive piene di umanità », che non sono se non « i vincoli di amore» di cui, nello stesso versetto, parla il Profeta. La manifestazione della gloria di Dio sul volto di Cristo, la visione degli attributi e delle perfezioni dell’Onnipo­tente, le meraviglie della sua santità, la dolcezza della sua misericordia, lo splendore del suo Paradiso, la grandezza della sua Legge, l’armonia dei suoi piani di provvidenza, la toccante dolcezza della sua voce: ecco le armi che Dio oppone al dominio del senso e che sostengono l’anima nella sua lotta contro il mondo e il demonio. « O Signore, tu mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre, sei stato più forte di me e hai prevalso » (Gr., 20,7). Tu hai gettato la tua rete con accortezza, sino a «rendere schiava ogni’ intel­ligenza all’obbedienza di Cristo» (2 Cor, 10, 5). Se il mondo ha il suo fascino, anche l’altare del Dio vivente ha il suo. Se il fasto e le vanità del mondo riescono ad accecare, molto più potrebbe accecare la vista degli Angeli che salgono e discendono la scala del Paradiso… Non ha forse la speranza in Dio le sue emozioni e l’amore per lui non riempie forse il cuore di entusiasmo? « Quanto sono ama­bili i tuoi tabernacoli, Signore degli eserciti! – dice il Sal­mista – Anela e si strugge l’anima mia per il desiderio degli atri del Signore: il mio cuore e la mia carne esul­tano verso il Dio vivente. Davvero vai meglio un giorno nei tuoi atri che mille altrove! Preferisco giacere a terra nella casa del mio Dio che abitare nelle tende degli empi » (Sal., 83, 2 ss.). I figli degli uomini fiduciosi si rifugiano all’ombra delle tue ali. S’inebriano dell’ubertà di tua casa e al torrente della delizia li disseti. Perché presso di te è la sorgente della vita e nella tua luce noi vediamo lume» (Sal., 35, 8 ss.). «Nessuno può venire a me se non vi è attratto dal Padre» (Gv., 6, 44).

Ecco la via che Dio ha scelto per fare di un peccatore un santo. Il Signore lo prende tale quale egli è, e di lui si serve perché lotti contro se stesso; cambia direzione ai suoi affetti e spegne l’amore terreno infondendo la carità soprannaturale. Dio non si vale dell’uomo come di un es­sere irragionevole spinto dagli istinti e retto da eccitazioni esteriori indipendenti dalla sua volontà, come di un essere per cui ogni piacere si equivale e differisce dagli altri sol­tanto di grado. Il trionfo della Grazia sta proprio in que­sto, che Dio penetra nel cuore dell’uomo e lo persuade e lo conquista nell’attimo stesso in cui lo trasforma. In nulla egli viola la specifica struttura spirituale che spontanea­mente ha concesso all’uomo. Come uomo lo tratta: gli la­scia la facoltà di agire in un modo piuttosto che nell’altro; fa appello a tutti i suoi poteri e a tutte le sue facoltà; alla sua ragione, alla sua prudenza, al suo senso morale, alla sua coscienza; mette in movimento i suoi timori così come il suo amore e lo illumina sulla corruzione del peccato co­me sulla misericordia divina. Ma il principio animatore della nuova vita, ciò che la suscita e la sostiene, resta pur sempre la fiamma dell’amore: solo l’amore è forte abba­stanza per distruggere in noi l’uomo del peccato.

L’amore si rivela quindi come il particolare dono di coloro che erano peccatori prima di diventare dei santi. L’amore resta sempre il principio vitale di tutti i santi, anche di quelli che mai ebbero bisogno di conversione, della santissima Vergine, di Giovanni’ il Battista e di Gio­vanni 1′ Evangelista, e della grande schiera delle « Primi­zie a Dio e all’Agnello » (Ap., 14,4) : ma mentre per quelli che mai hanno commesso gravi peccati, l’amore giunge ad una tale altezza di contemplazione da sembrare identificarsi con la santità stessa di Dio, per quelli invece in cui è principio di risurrezione l’amore costituisce la ca­ratteristica stessa del loro itinerario spirituale. L’amore di certi santi è’così pieno di devozione, di entusiasmo, di atti­vità e di buone opere che pensare ad essi vuol sempre dire per noi pensare a quanto hanno amato.

Così avvenne per Pietro, così per Paolo, l’apostolo dei pagani, così per la Maddalena. Così avviene anche per noi. Se vogliamo avere una fondata speranza di salvezza, dobbiamo possedere proprio questo amore, nella propor­zione conveniente a ciascuno. Tutti abbiamo peccato: con un aperto e cosciente disprezzo per la religione in taluni casi, con peccati segreti in altri; con la trascuratezza e la freddezza, o con l’indulgenza verso cattive abitudini, dando il nostro cuore alle cose del mondo o preferendo la nostra volontà a quella di Dio. Tutti insomma, penso, abbiamo avuto o ancor oggi abbiamo bisogno di una riconciliazione col Signore. E per quale via è possibile giungervi se non per quella del pentimento, di un pentimento che solo l’amo­re può sostenere? Non dico che per ottenere perdono ci occorre un amore uguale a quello dei santi, a quello di san Pietro o di santa Maria Maddalena: ma lo stesso, come essere perdonati, senza partecipare in certa misura a questa medesima grazia soprannaturale? Ogni « degna opera di penitenza » (Atti, 26, 20) è necessario pro­ceda da una viva fiamma di carità; la perseveranza finale dobbiamo guadagnarla con l’amorosa e costante preghiera a colui che è « autore è perfezionatore della nostra fede » (Eb., 12, 2) e della nostra fedeltà.

O Salvatore degli uomini, a te io vengo, anche se sarò trovato meritevole di venire da te allontanato. A te ven­go che sei mia vita e mio tutto, a te che durante la mia intera esistenza sei stato l’oggetto primo dei miei pensieri. A te voglio alzare la mia voce da questa valle di lacrime e dirti il mio Confìteor. Mi confesso a Dio onnipotente, alla beata Maria sempre Vergine, l’Immacolata, al beato arcan­gelo Michele, pura creatura di Dio, a san Giovanni Bat­tista, santificato già nel seno di sua madre, ai santi apo­stoli Pietro e Paolo, penitenti e quindi capaci per la pro­pria esperienza del peccato di aver compassione del pec­catore, e a tutti i santi, sia che abbiano vissuto nella con­templazione o nella lotta i giorni del loro pellegrinaggio terreno: – A tutti i santi rivolgo la mia supplica perché « si ricordino di me nella loro prosperità e mi usino mise­ricordia suggerendo al Re di trarmi da questo carcere » (Gn., 40, 14). Possa venire il giorno in cui «asciugherà Iddio ogni lacrima dai miei occhi, e morte non ci sarà più, ne lutto, né grida, né travaglio, perché le cose di prima se ne sono andate» (Ap., 21, 4).

1 luglio 1849, estratto del Sermone “Purity and Love“; Discourses to Mixed Congregations, 4, 62-63; 67-82